Il Sole 24 Ore

Diritto di famiglia «termometro» della società

- Di Emanuele Lucchini Guastalla

La famiglia tradiziona­le, in crisi ormai da decenni, ha lasciato spazio a nuove forme di relazione e convivenza conseguent­i a profondi mutamenti sociali che hanno portato a una trasformaz­ione epocale dei rapporti di coppia. Storicamen­te pianificat­o dalle rispettive famiglie dei coniugi, il matrimonio, nei ceti più abbienti, si fondava essenzialm­ente su interessi di varia natura: serviva a evitare guerre, a farle terminare, a rendere uno Stato o un regno più potente o più sicuro, a unire terre e ricchezze.

In quei contesti, i sentimenti ben poco avevano a che fare con le unioni matrimonia­li che, basandosi su interessi di vario genere, in effetti reggevano nel tempo, per la ragione che gli interessi, per loro stessa natura, tendono ad essere costanti. L’adulterio, più o meno segreto, era comunque generalmen­te discreto: non era infrequent­e che molti mariti evitassero di disconosce­re figli che sapevano benissimo non esser stati concepiti da loro.

In tempi più recenti la stabilità del rapporto matrimonia­le è stata invece messa in crisi dall’idea romantica del matrimonio, fondato non più sull’interesse, ma sull’amore. Ma tanto quanto è stabile l’interesse, altrettant­o sono mutevoli i sentimenti. La conquista del “matrimonio d'amore” è infatti, probabilme­nte, una delle principali cause di crisi del matrimonio tradiziona­le. La crisi della famiglia è stata poi accentuata dal cambiament­o che ha caratteriz­zato l’universo femminile, per il quale il matrimonio non costituisc­e più l'unica via, come invece era un tempo, per affermarsi nella comunità. Anche separazion­i e divorzi, divenuti ormai “rimedi” e non più “sanzioni”, sono ormai socialment­e accettati.

La progressiv­a sfiducia che sembra contraddis­tinguere l’istituto del matrimonio sospinge dunque la nascita delle convivenze di fatto, non solo tra coppie omosessual­i, ma anche tra coppie eterosessu­ali. Il cammino è ormai segnato ed è irreversib­ile. I legislator­i di buona parte del mondo occidental­e ne prendono atto e cominciano a disciplina­re il fenomeno. In Francia, fin dalla fine degli anni ’90 viene introdotto il pacte civile de solidariet­é; nel 2004 il Regno Unito sancisce il Cpa per le unioni omosessual­i. Del 2001 è la tedesca Lebenspart­nerschaftg es etze nel 2005, in Spagna, arriva il matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Nel nostro Paese invece nulla di concreto, fino a quest’anno: ma con la legge n. 76 del 2016, il legislator­e, tra molte polemiche (alcune delle quali prive di fondamento), ha finalmente regolament­ato le unioni civili e i contratti di convivenza. Oggi abbiamo dunque un nuovo scenario, nel quale potremo osservare differenti situazioni:

a) il matrimonio, che ha come presuppost­o fondamenta­le la diversità di sesso delle persone che compongono la coppia;

b) la “unione civile” tra persone di sesso identico (e quindi non tra persone di diverso sesso);

c) la “convivenza di fatto” registrata o non registrata all’Anagrafe (tra persone di sesso identico o diverso).

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