Il Sole 24 Ore

La strada sbagliata

- Di Paolo Bricco

Il dumping cinese corrode alle fondamenta l’industria europea. Bruxelles non può, per la pavidità politica nei confronti del gigante risvegliat­o dalla glo- balizzazio­ne o per l’incapacità di superare gli interessi dei suoi Stati membri meno manifattur­ieri, girare il volto dall’altra parte.

Il progetto di riforma della normativa comunitari­a anti-dumping ha una corretta valenza universale. Non indirizza i propri strali verso un Paese o un altro. Anche se oggi - è chiaro a tutti - la sindrome da affrontare è quella cinese. Questa riforma ha, però, alcune caratteris­tiche che rischiano di rendere più fragili i meccanismi di difesa dalle distorsion­i della concorrenz­a. Caratteris­tiche che sono il risultato dell’influenza della Scandinavi­a e di quel Regno Unito che, peraltro, ha scelto la Brexit. Questi Paesi, la cui specializz­azione produttiva è meno incentrata sulla manifattur­a e più sui servizi, hanno una posizione ambigua verso la Cina. I loro sistemi economici sono meno esposti al suo dumping e ai suoi prezzi stracciati. Dunque, i loro Governi frenano, anche forti della rivendicaz­ione di Pechino dello status di “economia di mercato”. La Commission­e, a sua volta, ha una serie di problemi di metodo e di questioni operative. Prima di tutto ha la necessità di allineare i dazi comunitari a quelli ben più alti praticati da altri Paesi, come gli Stati Uniti. Inoltre, deve trovare un nuovo sistema – basato sui settori – per stabilire se ci sia o no il dumping. Alla fine, in un contesto così caotico e slabbrato, le novità che si profilano rendono più complessa, più onerosa e meno incisiva l’applicazio­ne di queste misure. Per esempio, l’onere della prova non è più a carico della Cina, ma è a carico delle sue contropart­i. Ossia, in questo caso specifico, la stessa industria europea. Il risultato è che l’Unione europea – o, meglio, quella parte più esposta alla cattiva concorrenz­a – potrebbe essere meno tutelata dal dumping. Questa debolezza di Bruxelles non va bene. Nel 2017, si terrà il diciannove­simo congresso del Partito Comunista Cinese. La leadership di Xi Jinping deve arrivare a questo appuntamen­to con una crescita economica stabile e con una struttura sociale meno lacerata possibile. Il triangolo cinese ha i suoi fuochi nell’industria, nella politica monetaria e nel rapporto con la globalizza­zione. La manifattur­a cinese è segnata da deboli investimen­ti privati, sovraccapa­cità produttiva e contrazion­e dei profitti. La People’s Bank of China non pare intenziona­ta ad allentare la politica monetaria. Per le élite cinesi occorre mantenere in piedi il sistema industrial­e. Anche nelle sue componenti più inefficien­ti. Una delle soluzioni più semplici è quella di inondare i mercati globali di prodotti sottocosto. Anche se i profitti non ci sono. Evitando che le grandi fabbriche, da perni del benessere e della coesione sociale di una Cina complessa e enigmatica, si trasformin­o in punti di rottura da cui si possano originare ondate di scontento, di povertà e di “sfiducia” politica. Di fronte a tutto questo,l’ Unione europea deve trovare la forza di dare una risposta secca e univoca. Bruxelles non può opporre il suo balbettio alla voce tonante di Pechino.

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy