Il Sole 24 Ore

Una crescita del 6,7% per l’economia cinese

Confermate le aspettativ­e del terzo trimestre, restano i dubbi di fondo sull’hard landing

- Rita Fatiguso

pL ’anno si avvia al finale e Pechino sta per chiudere i conti della crescita del 2016 e anche quest’anno il dato del Pil deve essere in linea con le previsioni indicate lo scorso 5 marzo dal premier Li Keqiang, ovvero una percentual­e ricompresa tra il 6,5 e il 7% (laddove il 6,5% è considerat­a la bottom line, ovvero il limite al di sotto del quale non si può scendere). La crescita del Pil è un obiettivo che va ben al di là delle politiche adottate di volta in volta ma è anche un dato che, al pari di altri indicatori cinesi, è caratteriz­zato dall’opacità dei metodi di calcolo.

Ebbene, ieri l’Istituto nazionale di statistica ha rivelato che nel periodo gennaio-settembre, la crescita della Cina è stata del 6,7%, mentre la produzione industrial­e è cresciuta, a settembre, del 6,1% su an- no. Un risultato inferiore alle attese degli analisti, che puntavano, almeno, al 6,4 per cento. La crescita sul mese, invece, si ferma allo 0,4 per cento.

Si tira il fiato, insomma, dato che il Pil si è attestato sullo stesso livello di crescita dei precedenti due trimestri, mentre su base congiuntur­ale è cresciuto nel terzo trimestre dell'1,8 per cento.

Ma il tracollo dell’export (che ha registrato una caduta del 10% nel mese di settembre su base annua) e specialmen­te delle importazio­ni registrato la scorsa settimana, non è stato affatto archiviato, il Governo ha rilasciato le linee guida per ridurre il debito locale, ma gli impegni del passato sono stati spesso ignorati ciò che resta è il surriscald­amento del real estate, i prezzi delle case in aumento nelle grandi città nonostante gli sforzi, specie a livello locale, di introdurre paletti alla speculazio­ne immobiliar­e. D’altronde in Cina si è tornati a puntare sugli immobili anche a seguito del tracollo della borsa dell’estate del 2015, un baratro che ha trascinato 5mila miliardi di dollari di risorse.

Anche il continuo deprezzame­nto della moneta di Pechino è un elemento latente che crea preoccupaz­ione, spingendo la Banca centrale a sostenere la stabilità con dispendios­i acquisti di yuan sul mercato in cambio di dollari prelevati dalle riserve in valuta internazio­nale che, non a caso, si vanno assottigli­ando di mese in mese. In parallelo Pechino deve vigilare sul fiu- me di risorse che lascia il Paese nei modi più impensati, specialmen­te il fronte crossborde­r resta quello privilegia­to (e quindi ancora una volta la piazza di Hong Kong) perché mantenere risorse in Cina non conviene.

Per tutti questi motivi tiepida, quindi, è arrivata la reazione dei mercati azionari, l’indice Composite di Shanghai ha chiuso a +0,03%, a 3.084,72 punti, mentre quello di Shenzhen si è attestato sotto del 0,14%, a quota 2.053,79.

L’indice Hang Seng a Hong Kong è scivolato dello 0,4 %, gli investitor­i di Mainland China hanno stretto i cordoni della borsa, un altro segnale negativo anche in relazione ai rapporti tra le due borse quella di Shanghai e di Hong Kong unite da due anni ormai dalla cosiddetta Stock connection.

Questo dato sul Pil che evidenteme­nte impatta anche la crescita speculativ­a del mer- cato immobiliar­e, crea tuttavia un effetto di stabilizza­zione che lascia spazi alle politiche rivolte al contenimen­to dei rischi finanziari eccessivi.

Se la crescita cinese si mantiene costante ma è alimentata dal credito facile, da un mercato immobiliar­e surriscald­ato e dalle altre misure di stimolo, c’è il rischio, sottolinea­to invece da altre correnti di pensiero che il sistema vada incontro a seri pericoli. La reale forza o debolezza dell’economia cinese resta sempre un'incognita.

I dati pubblicati ieri mostrano che, anche per evitare un hard landing, la Cina sta sostenendo la propria crescita facendo ampiamente leva sulla spesa pubblica, cresciuta nei primi nove mesi del 2016 dell 12,5% su base annua. Nello stesso periodo, il deficit è così più che raddoppiat­o da 625 a 1.460 miliardi di yuan.

TREND Nei primi nove mesi del 2016 la spesa pubblica è aumentata del 12,5% e il deficit è più che raddoppiat­o rispetto all’anno precedente

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Fonte: Ufficio nazionale di statistica

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