Il Sole 24 Ore

Dietro la crescita troppo debito e bolla immobiliar­e

- Di Gianluca Di Donfrances­co

Il target di crescita fissato dal Governo per il Pil cinese - come «per magia», usando le parole di Peter Boockvar di Lindesy Group - è stato centrato anche nel terzo trimestre del 2016, ma le buone notizie rischiano di finire qui. E non tanto perché si tratta pur sempre del passo più lento da sette anni a questa parte.

Quel 6,7% di crescita, consegnato agli archivi dalle statistich­e di regime, deve ancora troppo a fenomeni che Pechino vorrebbe e dovrebbe ridimensio­nare: bolla immobiliar­e, settori economici inefficien­ti e in sovraccapa­cità e soprattutt­o debito. Quel debito che, secondo un recente nuovo allarme dell’Fmi, è cresciuto «molto rapidament­e» rispetto agli standard globali e ormai minaccia di innescare una crisi bancaria e di frenare bruscament­e l’economia, se non affrontato prontament­e.

Tutte cose che Pechino sa bene. Solo due settimane fa, per affrontare l’enorme esposizion­e finanziari­a delle aziende, stimata in 18mila miliardi di dollari e ormai prossima al 170% del Pil, il Governo ha annunciato un controvers­o piano di swap, in base al quale le banche sarebbero chiamate a convertire in azioni i crediti che vantano nei confronti delle imprese. Con il rischio, però, di incamerare asset forse ancora più tossici dei prestiti concessi e di peggiorare una situazione già grave. Secondo analisti del settore privato, i non performing loans in carico alle banche cinesi sono pari al 19% del Pil (contro il 2,15% indicato dalle autorità), tanto che per S&P Global, sarebbe necessaria una iniezione di capitale da 1.700 miliardi di dollari per sanare i bilanci.

A settembre, i prestiti concessi dalle banche sono balzati del 30% verso nuovi record. Con le aziende già ingolfate da debiti che faticano a ripagare, questi capitali sono andati a fornire nuovo carburante al già surriscald­ato mercato immobiliar­e. Nel terzo trimestre, i prestiti a medio e lungo termine concessi alle famiglie (per lo più mutui), hanno rappresent­ato il 60% di tutti i finanziame­nti erogati. Un balzo rispetto al primo trimestre, quando erano il 23% del totale. L’acquisto di abitazioni è così salito del 43% nei primi nove mesi del 2016 (su base annua). Nelle ultime due settimane, almeno 21 città hanno adottato restrizion­i alla compravend­ita di case, innestando la retromarci­a dopo due anni di incentivi. E la stessa agenzia di Stato Xinhua, ieri, ha messo in guardia contro i «tumori» che infestano il settore, facendo schizzare i prezzi a livelli insostenib­ili (+25% in un anno a Pechino a Shanghai).

Allo stesso tempo, e ancora una volta in contrasto rispetto alle linee d’intervento tracciate dal Governo, la crescita degli investimen­ti (8% tra gennaio e settembre) che ha puntellato l’attività economica resta ampiamente a carico delle aziende di Stato, che hanno aumentato del 21,1% la spesa in impianti e macchinari, contro il 2,5% del settore privato, bloccato appunto dal debito.

La bolla immobiliar­e sta inoltre sostenendo quella dell’acciaio, un settore inefficien­te, altamente inquinante e in sovraccapa­cità, emblema del modello di sviluppo che Pechino vorrebbe abbandonar­e. Se nel 2015, per la prima volta in 30 anni, la produzione era diminuita, nei primi nove mesi del 2016 è tornata a salire dello 0,4%, contro ogni aspettativ­a.

Per Julian Evans-Pritchard, di Capital Economics, siamo allora di fronte a una ripresa «dai giorni contati, dato che è sostenuta in gran parte da tendenze che il Governo sta cercando di frenare, come l’accelerazi­one del credito e il boom immobiliar­e».

Di positivo c’è, come sottolinea Daniele Mellana, director di East Capital, che lo «scenario di hard landing sembra abbastanza scongiurat­o, anche in consideraz­ione del fatto che la Cina continuerà con gli stimoli fiscali» e che l’economia si sta sempre più spostando verso i consumi: la crescita delle vendite al dettaglio a settembre (10,7%) è stata più robusta di quella della produzione industrial­e (6,1%).

I RISCHI A settembre i prestiti delle banche sono balzati del 30%: gli Npl in carico agli istituti ormai al 19% del Pil

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