Restrizioni commerciali in tutti i settori
pLa “grande muraglia” dei dazi commerciali – cui ultimamente si sono aggiunti nuovi mattoni – non è mai stata così imponente.
Secondo gli ultimi dati della Commissione Ue, tra le 72 antidumping e le 12 antisubsidy, sono in tutto 84 le restrizioni commerciali in vigore nella Ue nei confronti delle importazioni “sottocosto” dal resto del mondo. Non solo dalla Cina, ma anche da Russia, Taiwan e Corea del Sud (solo per citarne alcuni).
Tuttavia, 62 “barriere” ( 57 antidumping e 5 anti-sussidi alla produzione) riguardano an- che prodotti “Made in China”. Tre su quattro.
Di questi circa 16 dazi fotografano irregolarità su prodotti chimici (dal Pet all’aspartame, dall’acido citrico a sostanze di base per fertilizzanti). Settore che colpisce maggiormente la Germania e dove sinora si sono per lo più concentrate anche le poche (circa 15) contromisure cinesi verso gli esportatori europei. Mentre oltre venti riguardano la siderurgia (si veda l’articolo sotto).
Anche se proprio l’Italia – sempre secondo la Commissione Ue – è il Paese che, in questi anni, ha maggiormente beneficiato dei dazi: circa il 40% delle imprese europee difese sono italiane. E in totale assenza di barriere – caso estremo – il nostro Paese sarebbe il più esposto: a rischio ci sarebbero sino a 400mila posti di lavoro (circa il 28% di tutti quelli che si perderebbero nella Ue).
Ma se i dazi durano 5 anni e si possono prorogare – dietro ripresentazione di un dossier che ne giustifichi il mantenimento, da parte dei produttori europei interessati – per analogo periodo, senza limiti espliciti, possono anche decadere.
Come successo quasi un anno fa a viti e bulloni. Per un vizio di forma sul dossier, il Wto ha dato ragione a Pechino e imposto alla Ue di rimuoverli. Così la minuteria metallica europea (un business da 72 miliardi di dollari nel mondo, quelal italiana è molto legata all’automotive) si è trovata imporvvisamente senza difese. Unica soluzione? Ricominciare l’iter.
Di fatto, il procedimento – che può portare all’applicazione di un dazio antidumping (per cinque anni rinnovabile, non automaticamente) – è di tipo amministrativo regolato dal diritto comunitario e condotto dalla Commissione Ue d’ufficio o dietro presentazione di un ricorso da parte dei soggetti interessati.
Possono presentare ricorso i produttori del bene in concorrenza con quello importato che rappresentino almeno il 25% del totale della produzione Ue, anche attraverso le proprie associazioni di categoria, direttamente alla Commissione Ue o al ministero dello Sviluppo eco- nomico. A questo punto Bruxelles, può decidere di aprire una procedura – che deve concludersi entro 15 mesi – anche se, dopo 60 giorni dall’inizio dell’iter, possono essere imposti dazi provvisori. Se si arriva ad accertare l’esistenza di un comportamento di dumping, i dazi sono diretti ad innalzare il prezzo finale del bene importato fino al livello dei prezzi vigenti nel mercato d’origine della merce o ( se non è possibile determinarlo) in un altro mercato analogo per livello di sviluppo.
La percentuale, spesso, non è unica, perchè, applicandosi a tutti i produttori del Paese terzo, tiene conto di livelli di dumping diversi, in base al livello di “ribasso” praticato e all’eventuale capacità di “ravvedersi”.
LA PROCEDURA Possono chiedere l’applicazione di misure restrittive i produttori che subiscono dumping: misure valide per cinque anni