Il Sole 24 Ore

Trump si gioca le ultime carte

Ma a Las Vegas fisco e investimen­ti rischiano di restare sullo sfondo

- Di Marco Valsania

L’ultimo duello è avvenuto nella notte a Las Vegas, in Nevada. L’ultima chance per Donald Trump di risollevar­si, di ribaltare le sorti di una campagna elettorale in profonda crisi quando mancano meno di tre settimane al voto perla Casa Bianca. Un dibattito, moderato dal veterano della Fox Tv Chris Wallace, dove find alleo re prece dentiera atteso un Trump aggressivo, ma senza essere offensivo, evitando impossibil­i difese dei suoi scandali di volgarità e presunte molestie sessuali ai danni delle donne. E una Clinton impegnata invece ad ampliare l’appeal all’opinione pubblica e in particolar­e al centro, attenta soprattutt­o ai passi falsi. A non farsi cogliere cioè in contropied­e sulle proprie debolezze, portate alla luce da email hackerate che mostrano reti di influenti rapporti politici e d’affari, né sugli scandali del marito, l’ex presidente Bill, contro il quale Trump ha sua volta rivangato accuse di abusi.

Un duello i cui toni infuocati e obiettivi contrappos­ti sono il frutto dei “conti” dei potenziali consensi nella dirittura finale della campagna, anche se su questi il dibattito, chiunque sarà giudicato vincitore, potrebbe incidere poco, indipenden­temente dello spettacolo immediato che offrirà. Il rischio è che rimangano sullo sfondo temi cruciali per il futuro del Paese, come la spesa pubblica per le infrastrut­ture (sulla cui necessità i due candidati concordano) e le politiche fiscali (sulle quali invece le ricette divergono). Trump propone tagli generalizz­ati alle tasse destinati a favorire i più abbienti; Clinton un fisco più redistribu­tivo in virtù di un aumento delle aliquote per i redditi elevati.

Il Wall Street Journal segnala ormai un irrigidime­nto delle opinioni tra gli elettori, con il tasso d’approvazio­ne dei candidati tornato ai livelli di gennaio, 29% per Trump e 40% per Hillary. E Clinton è in netto vantaggio nei sondaggi sulle intenzioni di voto. Bloomberg la mostra avanti di nove punti su scala nazionale, 47% contro il 38%, altri le danno fino a 11 punti. I sondaggi di Cnn a livello degli Stati americani – cruciali per l’assegnazio­ne dei “grandi elettori” che determinan­o il risultato finale, con 270 il minimo per la presidenza – sono ancora più incoraggia­nti per la candidata democratic­a.

Trump è indietro in stati tradiziona­lmente incerti quali lo stesso Nevada, sede del dibattito, la Florida e la North Carolina. Ed è in un testa a testa in territori repubblica­ni quali Georgia, Alaska, Arizona e Utah. Nel fedelissim­o Texas ha un risicato vantaggio di 3 punti. In Arizona, segno delle aspirazion­i democratic­he, si sono precipitat­i sia la First Lady Michelle Obama che Bernie Sanders: proprio ieri un portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha svelato che Barack Obama è preoccupat­o da una possibile esplosione di violenze, se Donald Trump perderà le elezioni dell’8 novembre.

E i progressi del partito fanno persino ipotizzare una rara rivoluzion­e nella mappa politica del Paese, paragonabi­le a quando, negli anni Sessanta, i repubblica­ni strapparon­o il Sud ai democratic­i attirando lavoratori e ceti medi e medio bassi bianchi.

Le recenti prese di posizione e le reazioni scatenate hanno fatto arrivare Trump gravemente ferito allo scontro finale. Ha accusato il sistema elettorale americano di essere “truccato” per “rubargli” una vittoria e sostenuto di essere vittima d’una cospirazio­ne globale. E si sono rincorse voci che stia già preparando, se sconfitto, un rabbioso sbarco nei media dando vita a un nuovo gruppo ultra-conservato­re. La replica più dura, sintomo delle gravi spaccature che la sua campagna ha provocato tra i repubblica­ni, gli è arrivata da un ex avversario alle primarie, Marco Rubio, ora candidato alla rielezione al Senato e come molti esponenti del partito preoccupat­o di venire travolto da un tracollo di Trump. Rubio ha detto che il candidato deve smetterla di attaccare legittimit­à e integrità delle elezioni. E ha intimato ai repubblica­ni di desistere anche dall’usare rivelazion­i di WikiLeaks negli attacchi a Clinton, perché alla spalle degli hacker dei computer democratic­i c’è Mosca e sospetti tentativi di manipolare le elezioni.

I faccia a faccia hanno finora avvantaggi­ato Clinton davanti a un Trump che si è spesso abbandonat­o ad atteggiame­nti poco presidenzi­ali. Hillary, tuttavia, ha a sua volta davanti a sé sfide difficili. La principale è convincere gli elettori incerti o scettici sulla sua onestà a darle fiducia, per rafforzare una vittoria alle presidenzi­ali con la riconquist­a della maggioranz­a almeno al Senato – dove bastano 4 o 5 seggi – che agevoli il decollo di una sua Casa Bianca. Continua inoltre a pesare il caso delle e-mail gestite «irresponsa­bilmente» con un server privato quando era Segretario di Stato. E negli ultimi giorni sono affiorate pressioni di suoi collaborat­ori sulla Fbi perché minimizzas­se la rilevanza di alcune di quelle missive.

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All’attacco. In vista dell’ultimo dibattito Donald Trump non sembra aver più nulla da perdere

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