Trump si gioca le ultime carte
Ma a Las Vegas fisco e investimenti rischiano di restare sullo sfondo
L’ultimo duello è avvenuto nella notte a Las Vegas, in Nevada. L’ultima chance per Donald Trump di risollevarsi, di ribaltare le sorti di una campagna elettorale in profonda crisi quando mancano meno di tre settimane al voto perla Casa Bianca. Un dibattito, moderato dal veterano della Fox Tv Chris Wallace, dove find alleo re prece dentiera atteso un Trump aggressivo, ma senza essere offensivo, evitando impossibili difese dei suoi scandali di volgarità e presunte molestie sessuali ai danni delle donne. E una Clinton impegnata invece ad ampliare l’appeal all’opinione pubblica e in particolare al centro, attenta soprattutto ai passi falsi. A non farsi cogliere cioè in contropiede sulle proprie debolezze, portate alla luce da email hackerate che mostrano reti di influenti rapporti politici e d’affari, né sugli scandali del marito, l’ex presidente Bill, contro il quale Trump ha sua volta rivangato accuse di abusi.
Un duello i cui toni infuocati e obiettivi contrapposti sono il frutto dei “conti” dei potenziali consensi nella dirittura finale della campagna, anche se su questi il dibattito, chiunque sarà giudicato vincitore, potrebbe incidere poco, indipendentemente dello spettacolo immediato che offrirà. Il rischio è che rimangano sullo sfondo temi cruciali per il futuro del Paese, come la spesa pubblica per le infrastrutture (sulla cui necessità i due candidati concordano) e le politiche fiscali (sulle quali invece le ricette divergono). Trump propone tagli generalizzati alle tasse destinati a favorire i più abbienti; Clinton un fisco più redistributivo in virtù di un aumento delle aliquote per i redditi elevati.
Il Wall Street Journal segnala ormai un irrigidimento delle opinioni tra gli elettori, con il tasso d’approvazione dei candidati tornato ai livelli di gennaio, 29% per Trump e 40% per Hillary. E Clinton è in netto vantaggio nei sondaggi sulle intenzioni di voto. Bloomberg la mostra avanti di nove punti su scala nazionale, 47% contro il 38%, altri le danno fino a 11 punti. I sondaggi di Cnn a livello degli Stati americani – cruciali per l’assegnazione dei “grandi elettori” che determinano il risultato finale, con 270 il minimo per la presidenza – sono ancora più incoraggianti per la candidata democratica.
Trump è indietro in stati tradizionalmente incerti quali lo stesso Nevada, sede del dibattito, la Florida e la North Carolina. Ed è in un testa a testa in territori repubblicani quali Georgia, Alaska, Arizona e Utah. Nel fedelissimo Texas ha un risicato vantaggio di 3 punti. In Arizona, segno delle aspirazioni democratiche, si sono precipitati sia la First Lady Michelle Obama che Bernie Sanders: proprio ieri un portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha svelato che Barack Obama è preoccupato da una possibile esplosione di violenze, se Donald Trump perderà le elezioni dell’8 novembre.
E i progressi del partito fanno persino ipotizzare una rara rivoluzione nella mappa politica del Paese, paragonabile a quando, negli anni Sessanta, i repubblicani strapparono il Sud ai democratici attirando lavoratori e ceti medi e medio bassi bianchi.
Le recenti prese di posizione e le reazioni scatenate hanno fatto arrivare Trump gravemente ferito allo scontro finale. Ha accusato il sistema elettorale americano di essere “truccato” per “rubargli” una vittoria e sostenuto di essere vittima d’una cospirazione globale. E si sono rincorse voci che stia già preparando, se sconfitto, un rabbioso sbarco nei media dando vita a un nuovo gruppo ultra-conservatore. La replica più dura, sintomo delle gravi spaccature che la sua campagna ha provocato tra i repubblicani, gli è arrivata da un ex avversario alle primarie, Marco Rubio, ora candidato alla rielezione al Senato e come molti esponenti del partito preoccupato di venire travolto da un tracollo di Trump. Rubio ha detto che il candidato deve smetterla di attaccare legittimità e integrità delle elezioni. E ha intimato ai repubblicani di desistere anche dall’usare rivelazioni di WikiLeaks negli attacchi a Clinton, perché alla spalle degli hacker dei computer democratici c’è Mosca e sospetti tentativi di manipolare le elezioni.
I faccia a faccia hanno finora avvantaggiato Clinton davanti a un Trump che si è spesso abbandonato ad atteggiamenti poco presidenziali. Hillary, tuttavia, ha a sua volta davanti a sé sfide difficili. La principale è convincere gli elettori incerti o scettici sulla sua onestà a darle fiducia, per rafforzare una vittoria alle presidenziali con la riconquista della maggioranza almeno al Senato – dove bastano 4 o 5 seggi – che agevoli il decollo di una sua Casa Bianca. Continua inoltre a pesare il caso delle e-mail gestite «irresponsabilmente» con un server privato quando era Segretario di Stato. E negli ultimi giorni sono affiorate pressioni di suoi collaboratori sulla Fbi perché minimizzasse la rilevanza di alcune di quelle missive.