La Cina consumerà meno metalli
pLa domanda cinese di metalli non ferrosi crescerà a un ritmo più che dimezzato nei prossimi cinque anni e cambierà faccia: a trainare non saranno più i consumi di rame o alluminio, ma quelli di metalli minori, come il litio, il cobalto o il magnesio, destinati a energie rinnovabili, auto elettriche e altri impieghi hi-tech.
Non si tratta di semplici previsioni, ma di qualcosa di ben più concreto, perché è lo stesso governo cinese a delineare l’evoluzione del fabbisogno, basandosi sui piani di sviluppo economico del paese. Il ministero dell’Industria si focalizza su dieci metalli, stimando che tra il 2016 e il 2020 la domanda segnerà un incremento medio annuo del 4,1% contro il +10% del 2011-15. Da una crescita rapida si passerà quindi a tassi «medio-bassi» , sottolinea lo stesso ministero. «Ma la domanda crescerà ancora, supportata da nuove industrie». Tra gli esempi citati, lo sviluppo di veicoli in materiali leggeri o alimentati da «nuove energie» e l’«ammodernamento delle reti elettriche rurali».
Il ceo di Bhp Billiton, la maggior mineraria mondiale, ieri ha dichiarato che il ciclo negativo delle materie prime sta volgendo al termine: «Vediamo i primi segni di ribilanciamento sul mercato», assicu- ra Andrew Mackenzie. Ma se le importazioni cinesi per ora corrono, le previsioni di Pechino delineano un futuro decisamente incerto, con conseguenze potenzialmente significative per l’industria estrattiva e per i mercati globali.
Per i metalli (e in generale per le materie prime) l’impetuoso sviluppo dei consumi cinesi era stato il singolo maggior fattore rialzista nell’ultimo decennio. Ma il gigante asiatico ha rallentato il passo: la sua economia è cresciuta del 6,7% nel terzo trimestre, secondo il dato aggiornato ieri. Inoltre si sta spostando verso un nuovo modello di sviluppo, con minori investi- menti in infrastrutture e un peso sempre più forte per i servizi e l’industria ad alto valore aggiunto.
Dalle previsioni ministeriali emerge in particolare che i consumi cinesi di rame raffinato cresceranno solo del 3,3% annuo di qui al 2020, contro il +8,9% del 2011-15, mentre quelli di alluminio rallenteranno da +14,4% a +5,2% l’anno. Se Pechino non smetterà di importare rame (il deficit atteso al 2020 è di 3,7 milioni di tonnellate, 200mila più di oggi), nel caso dell’alluminio dovrebbe invece restare più che autosufficiente: la produzione locale - già esorbitante e scaricata in buona parte sui mercati d’esportazione - crescerà ancora di circa un terzo, a 40 milioni di tonnellate l’anno.