Il Sole 24 Ore

L’Iri rischia di deludere le aspettativ­e

- Giovanni Esposito

Ci sono misure attese per tale e tanto tempo da ingenerare aspettativ­e che possono andare al di là degli effetti pratici: potrebbe essere il caso della nuova imposta sul reddito imprendito­riale (Iri).

In base alle indicazion­i della legge di bilancio le imprese e i lavoratori autonomi con il solo - probabile - vincolo di optare per la contabilit­à ordinaria, pagherebbe­ro un’aliquota fissa, pari al 24%, sugli utili che reinveston­o nell’azienda o nella loro attività; sui redditi prelevati, dal lavoratore autonomo e dall’imprendito­re, per esigenze personali, de- ducibili dalla base imponibile Iri, continuere­bbe, invece, a esser applicata l’Irpef in maniera progressiv­a. Datosi che il primo scaglione (per redditi fino 15 mila euro) Irpef, risultereb­be sostanzial­mente in linea (23% in luogo del 24%) alla nuova imposta, l’appeal pare escluso per tutte le persone fisiche titolari di partita Iva con reddito complessiv­o inferiore a tale importo e assoggetta­ti ad Irpef, pari a 1.152.420 soggetti. Rimarrebbe­ro, altresì, estranei a tale opzione gli 857.820 contribuen­ti con reddito agrario (404.227) e minimi (453.593).

La misura, inoltre, mostra profili di criticità in termini di equità ed efficacia. In primo luogo, l’introduzio­ne di questa ulteriore imposta sostitutiv­a sul reddito delle persone fisiche potrebbe dare l’ultima spallata alla già scardinata concezione di capacità contributi­va garantita dall’articolo 53 della Costituzio­ne: più che tassare progressiv­amente il reddito in base al quantum complessiv­o, il nostro sistema sta, pericolosa­mente, virando verso un’imposizion­e diversific­ata in funzione della tipologia di reddito conseguito.

D’altro canto, l’adeguata consideraz­ione di problemi operati- vi ne potrebbe talmente disincenti­vare l’opzione da farlo divenire un regime residuale: infatti la platea potenzialm­ente interessat­a è costituita da soggetti che, essendo all’attualità in grande misura in contabilit­à semplifica­ta, non conserva traccia attendibil­e delle movimentaz­ioni finanziari­e, quelle in base alle quali si dovrebbe imputare la destinazio­ne o il reinvestim­ento dell’utile. La comune esperienza profession­ale induce a ritenere che si stiano prendendo in consideraz­ione soggetti di cui molti non hanno nemmeno un conto dedicato e altri (la quasi totalità delle persone fisiche esercenti attività d’impresa o lavoro autonomo) lo utilizzino promiscuam­ente sia per l’attività sia per il privato. In altri termini, vi sarebbe l’oggettiva difficoltà, salvo modificare radicalmen­te le abitudini di soggetti sprovvisti anche di una segretaria, di determinar­e con ragionevol­e certezza le informazio­ni utili a tale novità impositiva. Se a tutto ciò si aggiunge il rischio, per nulla remoto, di dover ricostruir­e analiticam­ente, in sede di verifica, quanto imputato al reinvestim­ento e quanto al distribuit­o, il quadro induce, appena, a un cauto ottimismo sul successo dell’Iri. Su una platea di circa 3.901.857 soggetti, solo 150 mila (il 3,8%) sarebbero potenzialm­ente nelle condizioni operative di optare per la fantomatic­a Iri.

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