L’Iri rischia di deludere le aspettative
Ci sono misure attese per tale e tanto tempo da ingenerare aspettative che possono andare al di là degli effetti pratici: potrebbe essere il caso della nuova imposta sul reddito imprenditoriale (Iri).
In base alle indicazioni della legge di bilancio le imprese e i lavoratori autonomi con il solo - probabile - vincolo di optare per la contabilità ordinaria, pagherebbero un’aliquota fissa, pari al 24%, sugli utili che reinvestono nell’azienda o nella loro attività; sui redditi prelevati, dal lavoratore autonomo e dall’imprenditore, per esigenze personali, de- ducibili dalla base imponibile Iri, continuerebbe, invece, a esser applicata l’Irpef in maniera progressiva. Datosi che il primo scaglione (per redditi fino 15 mila euro) Irpef, risulterebbe sostanzialmente in linea (23% in luogo del 24%) alla nuova imposta, l’appeal pare escluso per tutte le persone fisiche titolari di partita Iva con reddito complessivo inferiore a tale importo e assoggettati ad Irpef, pari a 1.152.420 soggetti. Rimarrebbero, altresì, estranei a tale opzione gli 857.820 contribuenti con reddito agrario (404.227) e minimi (453.593).
La misura, inoltre, mostra profili di criticità in termini di equità ed efficacia. In primo luogo, l’introduzione di questa ulteriore imposta sostitutiva sul reddito delle persone fisiche potrebbe dare l’ultima spallata alla già scardinata concezione di capacità contributiva garantita dall’articolo 53 della Costituzione: più che tassare progressivamente il reddito in base al quantum complessivo, il nostro sistema sta, pericolosamente, virando verso un’imposizione diversificata in funzione della tipologia di reddito conseguito.
D’altro canto, l’adeguata considerazione di problemi operati- vi ne potrebbe talmente disincentivare l’opzione da farlo divenire un regime residuale: infatti la platea potenzialmente interessata è costituita da soggetti che, essendo all’attualità in grande misura in contabilità semplificata, non conserva traccia attendibile delle movimentazioni finanziarie, quelle in base alle quali si dovrebbe imputare la destinazione o il reinvestimento dell’utile. La comune esperienza professionale induce a ritenere che si stiano prendendo in considerazione soggetti di cui molti non hanno nemmeno un conto dedicato e altri (la quasi totalità delle persone fisiche esercenti attività d’impresa o lavoro autonomo) lo utilizzino promiscuamente sia per l’attività sia per il privato. In altri termini, vi sarebbe l’oggettiva difficoltà, salvo modificare radicalmente le abitudini di soggetti sprovvisti anche di una segretaria, di determinare con ragionevole certezza le informazioni utili a tale novità impositiva. Se a tutto ciò si aggiunge il rischio, per nulla remoto, di dover ricostruire analiticamente, in sede di verifica, quanto imputato al reinvestimento e quanto al distribuito, il quadro induce, appena, a un cauto ottimismo sul successo dell’Iri. Su una platea di circa 3.901.857 soggetti, solo 150 mila (il 3,8%) sarebbero potenzialmente nelle condizioni operative di optare per la fantomatica Iri.