Servizi pubblici, il Parlamento spinge sulle incompatibilità
«Non penalizzare l’in house»
pEvitare penalizzazioni all’in house rispetto agli affidamenti con gara e applicare subito la nuova griglia di incompatibilità e inconferibilità, che impedisce di affidare incarichi di gestione, amministrazione e controllo di servizi pubblici agli amministratori degli enti che esercitano funzioni di controllo o di stazione appaltante. Sono le due richieste più importanti contenute nei pareri votati ieri dalle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato sul decreto che fissa le nuove regole di gestione dei servizi pubblici locali, provvedimento parallelo a quello sulle partecipate nell’ambito dell’attuazione della riforma Madia. I pareri sono favorevoli, ma accompagnati da alcune “condizioni” che pur non direttamente vincolanti possono ostacolare l’approvazione finale in caso di mancato accoglimento. Procedure a parte, è l’indirizzo politico espresso nei pareri a “dettare la linea” del Parlamento, di cui il governo dovrà tenere conto nel testo finale.
Sull’ambito di applicazione, i deputati chiedono di precisare meglio una serie di integrazioni con le discipline di settore, ma sul punto le novità più importanti arriveranno direttamente dal governo con l’esclusione del servizio idrico dalle novità, confermata ancora ieri dalla ministra per la Pa, Maria Anna Madia.
Sugli affidamenti, i tentativi di stretta all’in house rimasti nel testo vengono bocciati. La riforma, si legge nel parere della Camera, deve «escludere ogni forma di gerarchia tra i diversi modelli di affidamento dei servizi», per allinearsi alla disciplina europea e alla ricca giurisprudenza amministrativa e costituzionale che ha accompagnato i precedenti ten- tativi di liberalizzazione. In pratica, significa cancellare l’articolo 7, comma 3, del decreto, che agli enti intenzionati agli affidamenti diretti imporrebbe di provare puntualmente che la scelta non è «comparativamente svantaggiosa» rispetto alla gara. In cambio si propone di accompagnare tutti gli affidamenti, a gara, ad azienda speciale o diretti, con una delibera motivata che dia conto delle ragioni economiche della scelta, quindi con una formula più flessibile e meno penalizzante per le alternative alla gara.
Il decreto estende poi incompatibilità e inconferibilità degli incarichi, regole che provano a evitare i conflitti di interesse fra le amministrazioni locali che affidano i servizi e le aziende che li gestiscono. I primi passi in questo senso erano stati fatti nel 2013 con i decreti Severino, che si concentravano però sulle porte girevoli fra enti proprietari e partecipate con l’obiettivo di fermare l’utilizzo dei cda come opportunità per i politici reduci da insuccessi elettorali. La riforma vuole invece evitare incroci tra affidamento e gestione, chiudendo tutti gli incarichi (anche le consulenze) che hanno a che fare con la gestione del servizio a chi abbia ricoperto negli ultimi due anni incarichi politici o dirigenziali non solo negli enti proprietari delle società, ma anche in quelli che regolano, affidano o vigilano sul servizio. L’ambito dei divieti, insomma, si allarga , e i parlamentari chiedono di applicare le novità anche agli incarichi in corso, e non solo a quelli futuri. Mossa complicata da coordinare con il Codice civile, con il rischio di produrre un’ondata di ricorsi dagli esiti non difficili da prevedere.