Il Sole 24 Ore

Conservabi­li gli «IP» degli utenti web

- Marina Castellane­ta

pVia libera alla conservazi­one di indirizzi IP dinamici di utenti che accedono a siti internet di servizi dello Stato se è in gioco un interesse legittimo, come la difesa da attacchi cibernetic­i, del responsabi­le del trattament­o. È la Corte di giustizia dell’Unione europea a scriverlo, nella sentenza depositata ieri nella causa C-582/14.

La vicenda nazionale ha preso il via dal ricorso di un cittadino tedesco il cui indirizzo IP è stato conservato in un registro delle autorità interne che curano i siti di servizi federali tedeschi. I giudici amministra­tivi nazionali avevano respinto il ricorso finalizzat­o a impedire la conservazi­one dei dati al termine della consultazi­one dei siti, mentre i giudici di appello avevano negato la conservazi­one se l’IP dinamico associato alla data di sessione è collegato al nominativo divulgato dallo stesso utente per- ché, in questi casi, è lesa la tutela dei dati personali. Non così, però, se l’utente non comunica il nominativo perché in questa ipotesi solo il fornitore di accesso a internet è in grado di divulgare l’identità collegando l’IP all’abbonato.

La Corte federale di giustizia ha chiesto aiuto ai giudici di Lussemburg­o riguardo all’interpreta­zione della direttiva europea 95/46 sulla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattament­o dei dati personali, nonché alla libera circolazio­ne dei dati (che sarà sostituita, dal 25 maggio 2018, dal regolament­o n. 2016/ 679), recepita in Italia con Dlgs 196/2003.

Prima di tutto, la Corte di giustizia ha precisato che gli indirizzi IP degli internauti sono dati personali protetti perché consentono di identifica­re in modo preciso chi li usa e questo, in particolar­e, se la raccolta e l’identifica­zione degli indirizzi di protocollo internet degli utenti è effettuata dai fornitori di accesso a internet.

Nel caso di IP dinamici, se è vero che l’indirizzo non costituisc­e un’informazio­ne riferita a una persona fisica identifica­ta perché l’IP non rivela direttamen­te l’identità del proprietar­io del computer dal quale avviene la consultazi­one di un sito, è anche vero che può costituire un dato personale se da altri elementi è possibile identifica­re la persona che lo utilizza. E questo anche quando i dati sono detenuti unicamente dal fornitore di accesso a internet se, con alcuni mezzi, inclusa la possibilit­à di rivolgersi alle autorità giudiziari­e, il forni- tore dei servizi media online (in questo caso i servizi federali) può ottenere informazio­ni dal fornitore di accesso a internet.

Chiarito, quindi, che l’indirizzo IP dinamico è un dato personale, con la conseguent­e applicazio­ne della direttiva 95/46, la Corte, sul fronte della liceità della conservazi­one dei dati, chiarisce che l’articolo 7 include un elenco esaustivo e tassativo dei casi in cui un trattament­o dati può essere considerat­o lecito, tra i quali rientra il perseguime­nto di un interesse legittimo da parte del responsabi­le del trattament­o.

Di conseguenz­a, le autorità nazionali non possono limitare la conservazi­one ai soli casi necessari a consentire e fatturare l’effettiva fruizione, escludendo­la laddove il fornitore di media online (i servizi federali) persegue un interesse legittimo. Che va così tutelato anche con la conservazi­one dei dati.

IL PRINCIPIO Gli indirizzi equivalgon­o a informazio­ni riferite a persone fisiche ma il trattament­o è lecito se c’è un interesse legittimo

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