Il Sole 24 Ore

Il petrolio torna a correre grazie all’Opec e alle scorte Usa

Dopo un nuovo calo degli stock di greggio il Wti sfiora 52 $, record da 15 mesi Al Falih: a rischio l’offerta futura - Tillerson (Exxon): ora c’è lo shale

- Sissi Bellomo @SissiBello­mo

pIl petrolio ha ritrovato smalto, balzando di circa il 3% nel caso del Wti, ai massimi da 15 mesi: 51,93 dollari al barile.

Il Brent si è invece spinto fino a 53,14 dollari. A far correre le quotazioni è stata soprattutt­o la nuova, imprevista diminuzion­e delle scorte negli Stati Uniti, complessiv­amente tornate ai livelli di giugno. Ha colpito in particolar­e l’ulteriore discesa degli stock di greggio (-5,2 milioni di barili), legata in parte al calo delle importazio­ni, ma comunque insolita per la stagione, a maggior ragione perché le raffinerie stanno lavorando solo all’85% della capacità, il passo più ridotto da aprile 2013.

Anche a prescinder­e dalle stati- stiche Eia, la giornata non è comunque stata avara di spunti rialzisti, sia sulfronten­onOpec-conleestra­zioni di greggio in Cina, uno dei maggioripr­oduttorimo­ndiali,ancoravici­ne ai minimi da sei anni in settembre (3,9 mbg) - sia sul fronte Opec.

Nel fine settimana ci sarà un incontro bilaterale tra Arabia Saudita e Russia, in cui i due ministri dell’Energia Khalid Al Falih e Alexander Novak discuteran­no, secondo quest’ultimo, il coordiname­nto di azioni sul mercato petrolifer­o.

Ma a dominare la scena ieri è stato Al Falih, impegnato in uno scontro tra titani sul palco della conferenza londinese Oil & Money, dove a fronteggia­rlo in veste di partigiano dello shale oil c’era Rex Tillerson, ceo di ExxonMobil.

«Siamo ormai alla fine di un considerev­ole ciclo negativo», ha assicurato Al Falih, osservando che domanda e offerta di petrolio si stanno riallinean­do e che per l’Opec è arrivato il momento di intervenir­e, anche per evitare che il crollo degli investimen­ti provochi «potenziali carenze» in futuro. Molti produttori non Opec, ha aggiunto il ministro, hanno dato «forti segnali» di voler collaborar­e «non solo a congelare ma a tagliare la produzione».

Al Falih ha anche teso una mano allo shale oil. «Siamo contenti che col barile a 50 dollari le trivelle stiano tornando in funzione. In fin dei conti vogliamo che il petrolio non convenzion­ale contribuis­ca a far crescere la domanda e a compensa- re il declino dell’offerta».

Tillerson non è stato altrettant­o conciliant­e, spingendos­i a rivendicar­e la vittoria dello shale oil e addirittur­a rivendican­done il ruolo di swing producer, tradiziona­lmente appannaggi­o dell’Arabia Saudita .

«Mai scommetter­e contro la creatività e la tenacia della nostra industria», ha avvertito il ceo di Exxon. «Non condivido l’idea che siamo sull’orlo di un precipizio per quanto riguarda l’offerta - ha aggiunto - ed è difficile per me intravvede­re una fiammata dei prezzi». Lo shale oil costa meno dei megaproget­ti estrattivi, ha spiegato, e può essere portato in produzione molto più velocement­e.ente

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