Il Sole 24 Ore

Le altre novità fiscali

- Albano, Deotto, Ferranti

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AMMORTAMEN­TI

Con la proroga del superammor­tamento sugli investimen­ti un’altra novità per le imprese: l’estensione anche agli acquisti conclusi entro il 30 giugno 2018 purché sia pagato almeno il 20% dei costi entro la fine del 2017

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IRI

Chi opta per l’Iri, l’imposta sul reddito d’impresa, godrà di una disciplina di favore: è infatti ammesso il «riporto» delle perdite negli anni successivi in cui si applica la nuova imposta per l’intero importo e senza limiti di tempo

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IVA

Arrivano sanzioni per le comunicazi­oni trimestral­i Iva al debutto nel 2017: 25 euro per ogni mancata comunicazi­one di fattura (tetto massimo fino a 25mila euro). Ma c’è anche il credito d’imposta per l’adeguament­o tecnologic­o

pLa rivisitazi­one degli studi di settore impone la necessità di andare a riconsider­are una serie di misure “invasive” introdotte in passato (in particolar­e, nel biennio 2010/2011).

Peraltro, questa rivisitazi­one degli studi li riportereb­be alla loro “natura” originaria. Infatti, non va dimenticat­o che nel 1993 – anno in cui venne emanata la norma degli studi di settore – non si aveva ancora la più pallida idea di cosa effettivam­ente fossero. Quella del 1993 era una norma slogan, che voleva sempliceme­nte chiudere la vicenda della minumum tax. Tant’è che gli studi di settore vennero emanati, dopo la parentesi dei parametri, appena sei anni dopo (nel 1999 con decorrenza 1998). Nel 1993, quando si parlava di studi di settore, si faceva riferiment­o all’esperienza francese, dove gli studi non supportava­no o, peggio come è accaduto in Italia, non legittimav­ano l’accertamen­to: sempliceme­nte servivano agli uffici finanziari per decidere chi sottoporre a con- trollo. Ed è quello che dovrebbe avverarsi (finalmente) in futuro anche in Italia.

Nell’auspicato “mutamento genetico” degli studi di settore italiani non vanno però dimenticat­e alcune misure, soprattutt­o a livello sanzionato­rio, introdotte negli anni 2010 e 2011. Gran parte di queste, per fortuna, sono state abrogate con la revisione del sistema sanzionato­rio amministra­tivo (Dlgs 158/2015). Tuttavia, ve ne sono alcune, introdotte attraverso il Dl98/2011, che risultano ancora operative. Infatti, il comma 2 dell’articolo 39 del Dpr 600/1973 stabilisce che, nel caso di omissione del modello degli studi o di presentazi­one dello stesso con dati infedeli (quando c’è una differenza superiore al 15% o, comunque, a 50mila euro), l’Agenzia può effettuare un accertamen­to induttivo sulla scorta di meri indizi, cioè su presunzion­i semplici non provviste dei necessari requisiti di gravità, precisione e concordanz­a (in deroga, quindi, a quanto stabili- sce il codice civile per le presunzion­i semplici).

Addirittur­a, l’accertamen­to induttivo su un mero indizio risulta possibile in caso di errore nell’indicazion­e di una causa di esclusione o di inapplicab­ilità degli studi. In sostanza, un errore di un codice nel modello degli studi, magari discutibil­e (ad esempio, sul fatto che si tratti di un periodo di normale svolgiment­o dell’attività o meno), determina l’equiparazi­one di questo sventurato contribuen­te ad un evasore totale, cioè a un sog- getto che non tiene del tutto le scritture contabili e non presenta le dichiarazi­oni (vicende che invece giustifica­no l’accertamen­to su un semplice indizio).

È evidente che queste misure sugli studi di settore si dimostrano del tutto irrazional­i e frutto probabilme­nte di una certa avversione verso un certo tipo di contribuen­ti.

Sicché, nell’ottica della nuova - e speriamo definitiva - impronta che si vuole dare al rapporto Fisco-contribuen­te e della stessa rivisitazi­one degli studi di settore, si tratta di disposizio­ni che vanno al più presto abrogate.

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