Il Sole 24 Ore

Renzi e l’utile braccio di ferro con l’Ue

- di Lina Palmerini

Il vertice Ue non ha nulla a che fare con il prossimo referendum ma è una ribalta da cui Renzi prova a ottenere un “profitto” politico interno. In questa chiave, al premier fa più gioco un braccio di ferro, una sfida con l’Europa perchè gli apre spazi di interlocuz­ione con quell’elettorato di destra con cui, come ha detto, può vincere la sfida del 4 dicembre.

«L’Europa preoccupa il mondo», avrebbe detto Matteo Renzi ieri a Bruxelles. Ma intanto l’Europa preoccupa anche lui che deve affrontare un test popolare ravvicinat­o e ha bisogno di declinare il suo rapporto con l’Ue senza allontanar­si troppo dal sentimento dell’opinione pubblica. Soprattutt­o di quella moderata, vicina a Forza Italia, che sembra la più propensa a votare «Sì» al referendum ma che è stata la più critica verso i governi Monti e Letta. E che ha quindi bisogno da Renzi di una prova di leadership che cambi registro su Berlino e Bruxelles e riaffermi un i nteresse tutto italiano. Quello che si chiede è che il premier si faccia “sindacalis­ta” delle convenienz­e nazionali e dei prezzi che il Paese sta pagando sul fronte dell’immigrazio­ne così come su quello dell’economia.

E questa sembra la missione che si è dato Renzi: rappresent­are un mondo da cui non ha avuto un’investitur­a popolare ma a cui la chiede con il referendum del 4 dicembre.

Il tentativo di avvicinars­i a elettorati diversi l’ha fatto con la legge di Bilancio. Tanti sono i capitoli di spesa con cui prova il dialogo con mondi lontani dal Pd e il braccio di ferro con l’Europa diventa perfino necessario per “drammatizz­are” il suo sforzo di rappresent­anza e di tutela dell’interesse italiano. Non è l’unico premier che si fa sindacalis­ta, ma è quello che ha la scadenza elettorale più ravvicinat­a. Prima di Hollande, prima della Merkel. E sa di poter usare le urne del referendum come un’arma nella trattativa con l’Europa. La sua sconfitta diventereb­be la vittoria delle forze politiche euroscetti­che, dei 5 Stelle e di Salvini, leader e partiti pronti a mettere in discussion­e la regola del 3% e andare ben al di là degli spazi di deficit che il Governo si è preso con l’attuale manovra.

Alla fine tanto ha bisogno Renzi dell’in- vestitura popolare nel referendum quanto ne ha bisogno Bruxelles. E il calcolo del premier è chiaro: segnare la massima distanza tra lui e gli altri premier non eletti che lo hanno preceduto. Una distanza che vuole sia evidente non solo sul fronte delle politiche interne ma soprattutt­o nel rapporto con l’Europa che non è mai stato così dialettico come in questi mesi. Lo sforzo è quindi mostrare la distanza più ampia con Mario Monti, che peraltro ha dichiarato di voler votare “no” al referendum del 4 dicembre.

La discontinu­ità con il passato è il registro in cui si muove il leader del Pd. Vale per la riforma costituzio­nale, deve valere per l’Europa. E la discontinu­ità per essere credibile deve alimentars­i di scontri, di sfide, di negoziati. Il racconto di questi giorni a Bruxelles sarà quello della sfida italiana, sull’economia, sui migranti. Forse ci sarebbe stata lo stesso, anche senza il voto del 4 dicembre, ma la necessità politica di oggi è di enfatizzar­la al massimo. Per arrivare anche a quegli elettori che non vogliono più governi Monti.

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