La partita di Londra per una Brexit «dolce»
L’alternativa fra hard Brexit e soft Brexit s’impenna in nuova piroetta linguistica e ci regala la smooth Brexit. Brexit dolce è l’ultima parola d’ordine del lessico famigliare europeo che Theresa May non si stanca di coniare, opponendo i ghirigori della forma al deserto della sostanza.
Sotto i titoli, niente? Molto poco, ancora oggi, quattro mesi dopo il referendum e cinque mesi prima del via alla procedura di recesso dall’Unione europea. Estraendo dalla cesta cose già sentite, la signora premier ha ribadito ai partner che «non ci sarà un secondo referendum» che «la volontà popolare va rispettata» che vuole, tuttavia, «una Brexit dolce, tranquilla, inoffensiva per tutti».
Un’arcadia anglo-europea che alla vigilia del voto francese, olandese, tedesco quando la fuga dall’Europa di Londra occuperà pezzi importanti dello scontro politico a Parigi, all’Aja, a Berlino, è un miraggio. Il confronto fra Londra e Bruxelles sarà aspro, dettato da una contrapposizione di interessi che non pare trovare spazi di compromesso, affidandosi a quel poco che trapela, oggi, sulla strategia della signora premier. Impegnata, fino ad ora, in un solipsistico negoziato con se stessa, la Gran Bretagna ha espresso volontà e desideri. La volontà di uscire dall’Ue per frenare l’accesso dei lavoratori europei nel Regno e la volontà di ridare primato assoluto alle corti britanniche. I desideri sono un po’ più confusi, ma buttati là in ordine sparso sono: pre negoziato immediato in attesa di avviare le trattative ufficiali; periodo di transizione al termine dei due anni di confronto previsto dall’articolo 50 per evitare la cessazione della membership senza accordi commerciali che richiederanno anni; accesso al mercato interno quanto più ampio possibile per beni e servizi. E su quest’ultimo punto, Londra fa sapere, è pronta anche a mettere una mancia: denaro in cambio di frontiere chiuse ai cittadini Ue.
Al vertice di Bruxelles di tanti dettagli non si è ovviamente parlato, per evitare quantomeno di dar fuoco alle polveri troppo presto. La linea strategica di Londra parte, tuttavia, da un assunto che è tale solo oltre le scogliere di Dover: ovvero che l’Ue sia aperta a un’intesa a macchia di leopardo, spacchettando il single market per concedere accesso limitato a beni e servizi in cambio, se proprio necessario, di una limitata circolazione dei cittadini. Nessuna significativa voce dell’Europa continentale accredita questa idea, nemmeno gli amici scandinavi. Al netto di qualsiasi presunta volontà di punire Londra resta il rischio di conseguenze politiche interne che nessuno dei Ventisette vuole, giustamente, correre. Accomodare il Regno Unito su un nuovo strapuntino europeo fatto di «di tanti opt-in dopo aver avuto, da Paese membro, tanti opt-out», come ha notato il premier del Lussemburgo Xavier Bettel, innescherebbe voglie analoghe nei quattro cantoni dell’Ue.
La Gran Bretagna non sembra affatto esserne convinta, distesa com’è sull’adagio che smooth Brexit sia prospettiva reale perchè «in Europa un compromesso si trova sempre». In Europa? Appunto, in Europa.