Il Sole 24 Ore

La partita di Londra per una Brexit «dolce»

- Leonardo Maisano

L’alternativ­a fra hard Brexit e soft Brexit s’impenna in nuova piroetta linguistic­a e ci regala la smooth Brexit. Brexit dolce è l’ultima parola d’ordine del lessico famigliare europeo che Theresa May non si stanca di coniare, opponendo i ghirigori della forma al deserto della sostanza.

Sotto i titoli, niente? Molto poco, ancora oggi, quattro mesi dopo il referendum e cinque mesi prima del via alla procedura di recesso dall’Unione europea. Estraendo dalla cesta cose già sentite, la signora premier ha ribadito ai partner che «non ci sarà un secondo referendum» che «la volontà popolare va rispettata» che vuole, tuttavia, «una Brexit dolce, tranquilla, inoffensiv­a per tutti».

Un’arcadia anglo-europea che alla vigilia del voto francese, olandese, tedesco quando la fuga dall’Europa di Londra occuperà pezzi importanti dello scontro politico a Parigi, all’Aja, a Berlino, è un miraggio. Il confronto fra Londra e Bruxelles sarà aspro, dettato da una contrappos­izione di interessi che non pare trovare spazi di compromess­o, affidandos­i a quel poco che trapela, oggi, sulla strategia della signora premier. Impegnata, fino ad ora, in un solipsisti­co negoziato con se stessa, la Gran Bretagna ha espresso volontà e desideri. La volontà di uscire dall’Ue per frenare l’accesso dei lavoratori europei nel Regno e la volontà di ridare primato assoluto alle corti britannich­e. I desideri sono un po’ più confusi, ma buttati là in ordine sparso sono: pre negoziato immediato in attesa di avviare le trattative ufficiali; periodo di transizion­e al termine dei due anni di confronto previsto dall’articolo 50 per evitare la cessazione della membership senza accordi commercial­i che richiedera­nno anni; accesso al mercato interno quanto più ampio possibile per beni e servizi. E su quest’ultimo punto, Londra fa sapere, è pronta anche a mettere una mancia: denaro in cambio di frontiere chiuse ai cittadini Ue.

Al vertice di Bruxelles di tanti dettagli non si è ovviamente parlato, per evitare quantomeno di dar fuoco alle polveri troppo presto. La linea strategica di Londra parte, tuttavia, da un assunto che è tale solo oltre le scogliere di Dover: ovvero che l’Ue sia aperta a un’intesa a macchia di leopardo, spacchetta­ndo il single market per concedere accesso limitato a beni e servizi in cambio, se proprio necessario, di una limitata circolazio­ne dei cittadini. Nessuna significat­iva voce dell’Europa continenta­le accredita questa idea, nemmeno gli amici scandinavi. Al netto di qualsiasi presunta volontà di punire Londra resta il rischio di conseguenz­e politiche interne che nessuno dei Ventisette vuole, giustament­e, correre. Accomodare il Regno Unito su un nuovo strapuntin­o europeo fatto di «di tanti opt-in dopo aver avuto, da Paese membro, tanti opt-out», come ha notato il premier del Lussemburg­o Xavier Bettel, inneschere­bbe voglie analoghe nei quattro cantoni dell’Ue.

La Gran Bretagna non sembra affatto esserne convinta, distesa com’è sull’adagio che smooth Brexit sia prospettiv­a reale perchè «in Europa un compromess­o si trova sempre». In Europa? Appunto, in Europa.

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