Il Sole 24 Ore

L’Isis senza uno Stato tra declino e metamorfos­i

- Roberto Bongiorni

Forse sono già impegnati a trovare un nuovo nome. Perché se le cose dovessero procedere di questo passo, lo Stato islamico rischia di trovarsi senza uno Stato nell’arco di un anno.

La differenza delle forze in campo era da tempo evidente. Quel che resta dei 30mila miliziani dell’Isis si trova ora a fronteggia­re l’esercito iracheno, quello regolare di Damasco, i peshmerga curdi e gli Ypg, e le milizie Hezbollah. Oltre ai martellant­i bombardame­nti aerei effettuati dalla coalizione guidata dagli Stati Uniti e quelli dell’aviazione russa.

Ma quanto territorio ha perso l’Isis? E quando sarà sconfitto?

La risposta alla prima domanda è più facile. Da ottobre del 2014, quando il Califfo Abu Bakr al-Baghdadi era riuscito a conquistar­e – ed amministra­re – un’area estesa come la Gran Bretagna a cavallo tra Siria e Iraq, l’Isis ha perso circa la metà del suo territorio. Le aree desertiche, però, contano poco. Il declino del Califfato si evince piuttosto dal numero di città che ha perduto, circa 13 dal gennaio del 2015. Solo in Iraq, citando le più importanti, ha perso Tikrit (marzo 2015), Ramadi (febbraio 2016), Falluja (giugno 2016) e potrebbe presto cedere la sua “capitale” Mosul. In Siria Kobane (gennaio 2015), Palmira (giugno 2016), ma anche Manjib (agosto 2016). Questa era l’ultimo corridoio tra il confine turco e Raqqa. Senza Manjib ha perso dunque il canale di rifornimen­to di armi e soprattutt­o di foreign fighters.

Ogni città riconquist­ata è un colpo inferto alle casse dell’Isis. Perdere i centri urbani significa perdere denaro. I proibitivi balzelli imposti agli otto milioni di civili che vivono nel Califfato sono una delle maggiori entrate.

È per ora prematuro prevedere quando sarà sconfitto l’Isis. Ma l’erosione del suo territorio ha messo in moto una reazione a catena che ne accelera la caduta. A cominciare dal suo esercito. Se l’Isis è stata l’organizzaz­ione terroristi­ca che è riuscita a reclutare più combattent­i stranieri (25mila da 100 Paesi, di cui almeno 6mila dall’Europa), è perché la creazione di un Califfato aveva funzionato come polo di attrazione per gli estremisti islamici di tutto il mondo. Ai loro occhi l’Isis era riuscita là dove avevano fallito altre organizzaz­ioni, prima fra tutte al-Qaeda. Ma oggi, non disponendo più dei mezzi di un tempo per pagare regolarmen­te uno stipendio ai miliziani (e per forgiare alleanze), il suo appeal sta sfiorendo. Tant’è che migliaia di foreign fighters, demoralizz­ati, stanno fuggendo e cercando di rientrare nei rispettivi Paesi di origine.

Solo un anno fa, nessuno, o quasi, avrebbe scommesso che l’Isis potesse perdere così tanto territorio in così poco tempo. Se Mosul cadrà davvero nel volgere di alcune settimane, allora diverrà anche più facile espugnare Raqqa.

Eppure non sarà la fine dell’Isis. È molto più probabile che compia una metamorfos­i. Da Califfato si trasformer­à in un gruppo terroristi­co sparso sul territorio, capace comunque di portare avanti una guerriglia strisciant­e. Un ritorno alle origini. All’Iraq degli anni bui. Ma con un pericolo in più: anche se con meno mezzi, e con meno uomini, l’Isis potrebbe fare dei Paesi occidental­i il suo obiettivo primario.

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