Marras, il nomade dei materiali
Inaugura domani alla Triennale di Milano la mostra «Nulla dies sine linea», raccolta e racconto delle sue opere
a La moda dentro i musei è stata sdoganata da tempo, e così i dialoghi non ortodossi tra artisti e stilisti. Un designer di moda che entra in uno spazio museale per esporre la propria produzione artistica - intendendo per tale qualsiasi espressione di creatività non legata a un’immediata funzione d’uso - è invece una rarità che tende all’unicum. Accade ad Antonio Marras, figura in ogni modo eccentrica, narratore appassionato ed emozionante che da sempre oppone la tangibilità dell’analogico alla spersonalizzazione del digitale, bricoleur sperticato dell’object trouvé nonché, sia detto, amabile accumulatore di cianfrusaglie.
Al Marras artista - figura frenetica che convive pacificamente con quella dello stilista, completandola - la Triennale di Milano dedica, da domani al 21 gennaio 2017 la mostra monografica “Nulla dies sine linea”, curata da Fran- cesca Alfano Miglietti che definisce l’esposizione «una vera retrospettiva, fatta di opere assemblate e composte in questa occasione ma prodotte, cronologicamente, nell’ultimo ventennio». Il titolo è quanto mai pertinente: chiunque abbia avvicinato Marras nei suoi luoghi di vita e lavoro può testimoniare l’automatismo con il quale lo stilista, parlando, continua a scarabocchiare figure espressioniste su qualunque supporto gli capiti a tiro.
Siamo al piano terra della Triennale, nella confusione produttiva degli ultimi giorni d’allestimento. Antonio Marras supervisiona con attenzione estrema, visceralmente coinvolto nel processo: distribuire e raggruppare le opere sulle pareti e nell’ambiente è a sua volta un ulteriore gesto significante. «Ho grandissimo pudore ad entrare in questi spazi da solo - spiega - perché non è mio l’ardire di considerarmi artista. Ho partecipato a varie mostre, ma sempre, per così dire, in dialogo. Adesso no. Disegnare, creare, esprimermi sono mie attività automatiche e quotidiane. Questa esposizione è per me un modo per mettermi a nudo ma anche una maniera di rimettere ordine nel mio caos. Durante il processo di selezione insieme a Francesca ho tirato fuori cose che non vedevo da anni, che nel montaggio finale hanno assunto un significato che è di adesso. Quel che faccio quando disegno e la mia attività di stilista sono esattamente la stessa cosa. Cambiano solamente i materiali, non lo scopo».
Il tratto di congiunzione è l’infinito, costante riutilizzo e assemblaggio di oggetti già toccati dal tempo, ai quali il differente contesto e l’inedita sequenza regalano una nuova vita: porte che diventano cortine e soglie di situazioni; i quadri utilizzati al rovescio, dando dignità di cornice al retro; le lenzuola ricamate per far vestiti; i ritagli che diventano collage e persino le garze che hanno coperto una ferita elevate al ruolo di superficie da contemplare. «Antonio ha un terror panico della fine degli oggetti», spiega scherzosamente Francesca Alfano Miglietti. Le fa eco Marras: «Gli oggetti vecchi sono vivi, e mi raccontano un sacco di cose, quelli nuovi invece no». Il vero carattere di questa retrospettiva sui generis sta però nella stimolazione simultanea di vista, tatto e olfatto. «Vorrei che lo spettatore, entrando, si estraniasse completamente da ciò che è fuori per trovare un altrove sorprendente» conclude Marras, porgendo il più semplice e il più tentante degli inviti.