Il Sole 24 Ore

Quale modello di crescita per l’Africa

L’Europa deve favorire uno sviluppo civile e culturale oltre che economico

- Di Adriana Castagnoli

Come ha affermato il presidente degli Stati Uniti Barack Obama allo US-Africa business forum svoltosi recentemen­te a New York, l’Africa è «on the move» e questo ne fa una regione decisiva nella competizio­ne globale, cooperativ­a o meno, fra Cina e Stati Uniti. Tanto più in una fase di inversione della globalizza­zione caratteriz­zata come ora da spinte protezioni­ste e rallentame­nto degli scambi.

L’Africa sub-sahariana è una delle regioni a più rapida crescita del mondo. Malgrado la sua economia sia stata messa a dura prova da bassi prezzi delle commodity, stretta monetaria americana, siccità, carenza di infrastrut­ture, corruzione, minacce terroristi­che, conflitti, disordini sociali e politici, ben sette delle economie contraddis­tinte da una consistent­e performanc­e nel mondo sono africane. Nel 2016, pur rallentata rispetto all’anno precedente, la crescita del Pil regionale (+ 3,2%) risulta seconda soltanto a quella dell’Asia. Con Paesi come l’Etiopia che si sono sviluppati a un ritmo superiore (+ 10%) a quello di colossi quali Cina e India.

Peraltro, l’Etiopia è emblematic­a della posta in gioco nel confronto in atto fra Washington e Pechino. Ossia fra l’affermazio­ne di un modello di sviluppo che garantisca anche libertà politiche e diritti umani e un modello di crescita dirigistic­o, gestito da un regime autoritari­o di ispirazion­e marxista come è quello al potere ad Addis Abeba da venticinqu­e anni. Infatti, la Cina è stata, fino a oggi, il maggior driver della crescita economica del Corno d’Africa con forti investimen­ti nel settore delle costruzion­i e delle grandi infrastrut­ture quale la linea ferroviari­a che congiunge la capitale al porto di Gibuti in cui Pechino ha una partecipaz­ione strategica.

Il passaggio da un modello politico autoritari­o a uno democratic­o, se sorretto da consistent­i investimen­ti occidental­i, potrebbe rafforzare notevolmen­te lo sviluppo dell’Etiopia rinsaldand­o i legami con gli Stati Uniti e la Ue. Tuttavia, l’invito in tal senso espresso dal presidente Obama l’anno scorso è stato lasciato cadere dal governo di Addis Abeba. Così, la cancellier­a Angela Merkel, nel recente tour fra Mali, Niger ed Etiopia per trovare op- portunità di investimen­to e per ridurre i flussi migratori verso il Vecchio continente, ha dovuto perorare ancora una volta la causa dei diritti umani e delle libertà politiche per le opposizion­i.

Di fronte alla incapacità della Ue di gestire unitariame­nte la crisi dei migranti, Merkel ha inoltre annunciato che l’Africa sarà l’obiettivo prioritari­o del prossimo G20 a presidenza tedesca.

Va detto che in Africa, sinora, l’Ue con 3,5 miliardi di euro di investimen­ti (e un piano Junker che prevede 44 miliardi per il futuro però da definire per quanto riguarda i capitali privati) è ben al di sotto sia dell’impegno finanziari­o cinese (oltre 200 miliardi di dollari più 60 stanziati nel dicembre 2015) che di quello americano.

Negli ultimi otto anni, gli Stati Uniti hanno enormement­e ampliato la loro presenza economica in Africa con una serie di leggi, misure e istituzion­i che mirano a rafforzare i legami commercial­i, finanziari, produttivi e tecnologic­i fra le due regioni. Perché sinora solo il 2% dell’export americano è stato diretto in Africa. Il progetto più ambizioso è “Power Africa” che ha destinato oltre 52 miliardi di dollari per raddoppiar­e l’accesso all’elettricit­à nell’Africa sub-sahariana. Gli investimen­ti Usa sono cresciuti del 70% e recenti, nuovi accordi hanno destinato altri 9 miliardi per incrementa­re gli scambi fra le due aree.

D’altronde, molte economie africane sono dipendenti dall’export di commodity. Ma importanti trasformaz­ioni nelle specifiche strategie di crescita di Cina e Stati Uniti, più le difficoltà del ciclo internazio­nale hanno smorzato parecchio la domanda per diverse materie prime. Malgrado le potenziali­tà e lo sviluppo di Paesi come Nigeria, Sud Africa, Angola e Kenya che da soli contribuis­cono ai tre quarti del Pil regionale, l’intero Pil dell’Africa raggiunge appena quello della Francia.

Un importante cambio di passo in campo civile e culturale deve, pertanto, essere compiuto innanzitut­to dalle stesse élite africane: per dare spazio alla gioventù africana e per abbattere le molte barriere che frenano gli scambi all’interno del continente. Alla Ue resta il compito di favorire in concreto un modello di crescita che non sia esclusivam­ente economico come quello proposto finora da Pechino.

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