Il Sole 24 Ore

Sui migranti servono equità, regole certe e confini sicuri

- Di Franco Debenedett­i

Nel 2015, in tutto il mondo, 60 milioni di persone hanno abbandonat­o la propria casa contro la propria volontà: significa uno ogni 122 abitanti del pianeta. Dall’altro lato, cioè nei Paesi verso cui si dirige, questo flusso migratorio viene a incidere sul potere di decidere a chi viene consentito di vivere all’interno dei propri confini, elemento fondante della sovranità statale ancor più per l’Europa degli Stati nazione. È necessario dotarsi di strumenti per comprender­e le “Conseguenz­e economiche e politiche della migrazione dei rifugiati”, come recita il titolo della lezione tenuta la scorsa settimana alla Bocconi da Christian Dustmann per la Fondazione Rodolfo Debenedett­i.

Prima di tutto conviene ricordare quadro giuridico ed entità del fenomeno. Il diritto di asilo si fonda sulla Dichiarazi­one dei diritti dell’uomo ed è incardinat­o dalla Convenzion­e di Ginevra del 1951 e dal protocollo del 1967: offre copertura universale, vieta il respingime­nto nel Paese di origine, definisce rifugiato chi teme di poter essere oggetto di persecuzio­ne per motivi nazionalis­tici, razziali, religiosi. Successiva­mente forme di protezione umanitaria sono state estese ai civili minacciati dai conflitti in Africa e in Asia. Quanto all’entità: nel 2015, di quei 60 milioni totali, 44 si sono spostati all’interno del proprio Paese, 16 in Paesi terzi. Da lì oltre 2 milioni ha cercato asilo in Paesi che hanno firmato la convenzion­e di Ginevra; in Europa è giunto il 12% dei rifugiati del mondo.

Posto che diritto d’asilo non vuole dire diritto alla residenza permanente, quali le soluzioni stabili? Per l’Onu lo sono o il ritorno nel Paese d’origine, o lo spostament­o in un Paese terzo, o l’integrazio­ne, in pratica trovare lavoro. E qui si deve fare una distinzion­e tra immigrati economici e rifugiati, perché affatto diverse sono le loro storie passate e le loro prospettiv­e future. I primi hanno deciso loro di emigrare e scelto il Paese di destinazio­ne, i secondi si sono mossi per eventi estranei dalla loro volontà. Specularme­nte i Paesi di accoglienz­a scelgono gli immigrati economici, accettano i rifugiati. Il migrante economico decide quanto lavorare, quanto consumare, quanto investire in capitale umano, se e quando ritornare al Paese d’origine. Il rifugiato vive nell’incertezza sul suo futuro, e questo induce a ridurre l’investimen­to iniziale e quindi di prestazion­i seguenti: le decisioni più importanti sul proprio futuro si prendono all’inizio della nuova vita lavorativa, e dipendono dalle aspettativ­e. Se il permesso di residenza viene concesso solo dopo un certo periodo e solo a una frazione di ogni fascia di età, che investimen­to personale ci si deve aspettare da un rifugiato di 20 anni che sa di avere solo una probabilit­à di essere accettato dopo 5 anni? Che contributo ne deriverà all’economia del Paese ospitante?

Il tema dei rifugiati ha polarizzat­o il dibattito politico, ha favorito l’emergere di nuovi partiti. Come variano i risultati elettorali al variare della presenza di rifugiati? Ci sono politiche che possono ridurre questo effetto? La Danimarca nel 1986 aveva disperso sul suo territorio oltre 76mila rifugiati; le elezioni che si tennero tra il 1989 e il 1998, tre politiche generali e tre municipali, forniscono alcuni spunti. A un aumento di un punto percentual­e del numero di rifugiati in rapporto alla popolazion­e, corrispose un aumento dei voti dei partiti anti immigranti pari a 1.4 punti; con risultati opposti tra città (dove aumentò di quasi il 3 punti il voto del centrosini­stra) e campagna (dove furono quelli degli anti immigranti ad aumentare, di oltre 1 punto.

La pressione migratoria sull’Europa non diminuirà: la popolazion­e dell’Africa crescerà nei prossimi 45 anni da 1,1 miliardi a 2,8 miliardi; dei 20 Stati considerat­i “fragili” dall’Ocse, 14 sono in Africa, 3 in Medio Oriente. Ci vuole un nuovo quadro regolatori­o, accettato da tutti. Due dovebbero esserne i pilastri: una politica coordinata che renda sicuri i confini esterni, per consentire di esaminare le richieste di asilo prima dell’ingresso in Europa; e un meccanismo per distribuir­e con equità il carico dei migranti tra i Paesi d’Europa ma che al tempo stesso sia abbastanza flessibile per tener conto delle situazioni specifiche di ogni Paese. Obbiettivo non facile, ma se non lo si raggiunge le conseguenz­e potrebbero essere devastanti per la Ue, per non parlare dei singoli Stati.

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