Il Sole 24 Ore

Pochi «dati», stop alla reintegra

Spetta solo un risarcimen­to se la comunicazi­one dell’impresa non è completa

- Massimilia­no Biolchini Serena Fantinelli

pIn caso di licenziame­nto collettivo niente reintegra se la comunicazi­one conclusiva è solo incompleta. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con la sentenza 19320/2016, chiamata a valutare le conseguenz­e di un vizio di comunicazi­one relativa ai criteri di selezione adottati per un licenziame­nto collettivo, come prescritto dall’articolo 4, comma 9, della legge 223/1991.

Nell’ambito di un licenziame­nto collettivo, il datore di lavoro ha espresso nella comunicazi­one conclusiva all’ufficio del lavoro l’intenzione di valorizzar­e il criterio dell’anzianità acquisita dai lavoratori nella mansione, attribuend­o «due punti per ogni anno di attività, calcolato in giorni, svolto nell’attuale mansione, riscontrab­ile da relativa documentaz­ione», ma senza specificar­e la data di inizio delle esperienze lavorative, la relativa durata, il nominativo del precedente datore di lavoro, né la documentaz­ione presa in consideraz­ione per l’attribuzio­ne del punteggio finale.

La Corte di appello di Catanzaro ha accolto le doglianze di un lavoratore licenziato, e ha sottolinea­to che è stato violato l’obbligo di «puntuale indicazion­e delle modalità con cui sono stati applicati i criteri di scelta»: circostanz­a che ha impedito ai lavoratori, alle organizzaz­ioni sindacali e agli organi amministra­tivi il controllo della la correttezz­a dell’operazione, e la corrispond­enza agli accordi raggiunti. La Corte, per conseguenz­a, ha ritenuto che il vizio accertato costituisc­e una «violazione dei criteri di scelta», e che come tale deve essere sanzionato, secondo l’articolo 5, comma 3, della legge 223/1991, con la reintegraz­ione e la condanna al risarcimen­to del danno, liquidato in 18 mensilità.

Il datore di lavoro ha presentato ricorso in Cassazione, riafferman­do la legittimit­à della comunicazi­one, perché i presuppost­i di fatto sui quali si basava la graduatori­a ben avrebbero potuto essere verificati mediante richiesta di accesso agli atti presenti in azienda, e lamentando altresì come, in ogni caso, dalla violazione accertata sarebbero dovute derivare solo conseguenz­e risarcitor­ie (articolo 18, comma 5, della legge 300/1970), e non già la reintegraz­ione (articolo 18 della stessa legge).

La Cassazione non ha accolto le difese del datore in merito alla comunicazi­one, ritenendol­a definitiva­mente illegittim­a sulla scorta del principio che anche i presuppost­i fattuali in base ai quali vengono applicati i criteri di selezione devono essere ricavabili dalla comunicazi­one stessa.

Tuttavia ha ritenuto che «diversi sono i presuppost­i del vizio attinente la violazione dei criteri di scelta, legittiman­te la reintegraz­ione nel posto di lavoro ed il pagamento di una indennità risarcitor­ia, in quanto … tale caso si ha non nell’ipotesi di incomplete­zza formale della comunicazi­one… bensì allorquand­o i criteri di scelta siano, ad esempio, illegittim­i, perché in violazione di legge, o illegittim­amente applicati, perché attuati in difformità delle previsioni legali o collettive», con la conseguenz­a quindi che la fattispeci­e sanzionato­ria applicabil­e al caso specifico è meramente indennitar­ia.

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