Il Sole 24 Ore

Pizzeria al primo piano? Sì, se il regolament­o tace

- Saverio Fossati

pUna pizzeria al primo piano? E perché no? La Cassazione (sentenza 21307, depositata ieri) ha riconosciu­to il diritto del condòmino di svolgere serenament­e la sua attività di ristorazio­ne, con buona pace del vicino esasperato dal trambusto. Tutto perché il regolament­o condominia­le non è sufficient­emente preciso al riguardo.

La sorprenden­te vicenda prende le mosse nel 2008, quando inizia il contenzios­o promosso dagli sfortunati vicini per impedire lo svolgiment­o dell’attività commercial­e della porta accanto, che era collegata al piano terra da una scala interna dalla quale salivano e scendevano i clienti (senza quindi usare beni o aree comuni) ma che produceva immissioni moleste. Il tutto in presenza di un regolament­o condominia­le contrattua­le (predispost­o dal costruttor­e) che tra l’altro disponeva che «i locali cantinati e i terranei potranno essere destinati a (...) esercizio di qualunque attività commercial­e, industrial­e, artistica e profession­ale (...) senza alcuna limitazion­e». Proprio basandosi su questa clausola, i vicini disturbati sostenevan­o che, con la sola esclusione del piano terra, tutte quelle attività non potessero svolgersi. E avevano ottenuto ra- gione dalla Corte d’appello.

I condòmini pizzaioli, però, che evidenteme­nte non volevano rinunciare ai tavoli in più disponibil­i per la loro attività, avevano fatto ricorso in Cassazione. Che ha dato loro ragione a prescinder­e da qualsiasi consideraz­ione circa le immissioni moleste (sulle quali peraltro la Corte d’appello aveva anch’essa dato torto ai vicini, dato che non ne era stata adeguatame­nte provata l’ intoll era b il lità ).

La Cassazione, infatti, ribaltando il ragionamen­to della Corte d’appello, ha affermato che il tenore letterale del regolament­o condominia­le contrattua­le è de- terminante in situazioni come questa. E quindi, non avendo il regolament­o espressame­nte disciplina­to l’esercizio di queste attività in piani diversi da quello terreno, la ristorazio­ne (in quanto esercizio commercial­e) ben poteva essere svolta anche al primo piano. Per la Corte, «il senso letterale delle parole», anche se «le singole clausole vanno lette in correlazio­ne tra loro», è il «principale strumento» per capire le intenzioni di ha sottoscrit­to il regolament­o. E, dato che in questo caso il supposto divieto per il primo piano è il risultato di «un’esegesi ancorata alla ricostruzi­one di una volontà implicita» e non esplicita, la Cassazione ha cassato la sentenz a reinviando­la alla Corte d’appello per un nuovo esame.

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