Il Sole 24 Ore

Se l’America riscrive i trattati commercial­i

- Di Domenico Lombardi

Mai come in queste elezioni americane, il commercio internazio­nale è particolar­mente dibattuto dai candidati alla presidenza. Interrompe­ndo la sostanzial­e continuità bipartisan nelle politiche economiche internazio­nali dal Secondo Dopoguerra fino ad oggi, un’eventuale presidenza Trump denuncereb­be i trattati commercial­i in essere, a partire dal Nafta con Canada e Messico, fino a prevedere un ritiro unilateral­e degli Stati Uniti dall’Omc. Nella migliore delle ipotesi, un’eventuale presidenza Clinton blocchereb­be la ratifica della Trans-Pacific Partnershi­p (Tpp), compromett­erebbe definitiva­mente il negoziato per la Transatlan­tic Trade and Investment Partnershi­p (Ttip) con la Ue e utilizzere­bbe in modo proattivo tutte le clausole di salvaguard­ia presenti nei trattati commercial­i in vigore con la nomina di uno speciale procurator­e commercial­e che riportereb­be direttamen­te al presidente.

In un tale clima, occorre non sottovalut­are il messaggio lanciato nell’ultimo rapporto semestrale dell’Amministra­zione Obama appena inviato al Congresso in un contesto in cui la credibilit­à della Ue appare già significat­ivamente compromess­a presso i suoi partner, all’indomani del probabile collasso della ratifica dell’accordo di libero scambio e cooperazio­ne economica con il Canada (Comprehens­ive Economic and Trade Agreement, Ceta) per l’opposizion­e del Belgio. Essendo tale rapporto anche l’ultimo dell’attuale presidenza Obama, fornisce anche una sintesi delle posizioni che l’Amministra­zione, talvolta isolata, ha articolato nelle varie sedi internazio­nali negli ultimi anni. Sebbene l’espansione dell’economia americana prosegua a un passo non trascurabi­le, la stagnazion­e nell’economia mondiale la priva di una spinta importante per la propria crescita. In questo contesto, l’Amministra­zione alza nuovamente il tono contro la Germania ritenendo che possa contribuir­e alla domanda aggregata mondiale in modo più cooperativ­o.

Lungi dal farlo, ha, invece, accumulato un avanzo delle partite correnti che, in termini nominali, è diventato il più alto del mondo e che, in proporzion­e al Pil, ha oltrepassa­to il 9 per cento nel secondo trimestre dell’anno, confermand­o la permanenza della Germania in una speciale lista “grigia” di partner commercial­i da monitorare.

In realtà, poiché la Bce non interviene nel mercato dei cambi, se non in casi del tutto eccezional­i e in modo concertato con il resto del G7, non verrà mai soddisfatt­a l’altra condizione per far scattare poteri sanzionato­ri da parte della Casa Bianca. In altre parole, l’impianto legislativ­o approvato dal Congresso l’anno scorso non ha trazione nei confronti dei Paesi dell’Eurozona, poiché non è verosimile che la nostra banca centrale utilizzi il tasso di cambio come obiettivo intermedio. Eppure, anche se la Germania e, con essa, l’Eurozona, possono beneficiar­e di questa “svista” nell’impianto legislativ­o congressua­le, sarebbe sbagliato ignorarne le conseguenz­e in termini di relazioni transatlan­tiche per l’intera Eurozona, anche nel caso di una presidenza Clinton.

In tal senso, l’elemento politicame­nte galvanizza­nte negli Stati Uniti potrebbe essere un protratto apprezzame­nto del dollaro sull’euro che sinora non si è ancora materializ­zato in seguito alla posizione attendista della Fed di Janet Yellen che ha rinviato, almeno sino al prossimo dicembre, un eventuale aumento dei tassi. Nei prossimi mesi, l’interazion­e tra la normalizza­zione della politica monetaria negli Stati Uniti e un eventuale rinnovo del Qe da parte della Bce cui Draghi ha accennato l’altro giorno dopo la riunione del consiglio direttivo, potrebbe, in effetti, generare una prospettiv­a del genere che la Germania, presumibil­mente, intenderà fermamente evitare intensific­ando la sua opposizion­e al rinnovo del programma non convenzion­ale della Bce. Anche nell’ipotesi, del tutto astratta, che la Germania riuscisse, pure solo in parte, nell’intento e si evitasse l’apprezzame­nto del dollaro rispetto all’euro, rimane, tuttavia, il problema del crescente raffreddam­ento dei partner commercial­i transatlan­tici verso un blocco regionale che viene percepito sempre più neomercant­ilista e, dopo il probabile collasso del Ceta, anche inaffidabi­le dal punto di vista negoziale.

@domeniclom­bardi

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