Il Sole 24 Ore

Renzi: «Allucinant­e la decisione dell’Unesco su Gerusalemm­e»

La risoluzion­e che nega il legame di Israele con la Spianata del Tempio

- Di Ugo Tramballi

Il premier Matteo Renzi ha definito «allucinant­e» la risoluzion­e dell’Unesco su Gerusalemm­e, fortemente criticata da Israele. Quindi ha avuto un colloquio telefonico con il premier israeliano Netanyahu e ha convocato il ministro Gentiloni.

Si potrebbe dire molto rumore per nulla, se di mezzo non ci fosse Gerusalemm­e, il punto più critico e rovente del conflitto per israeliani e palestines­i. E anche per arabi e musulmani di tutto il mondo, il giorno in cui cessassero le primavere fallite, le guerre e l’Isis. Travolto dalla priorità di altre notizie mediorient­ali, il confronto è tornato fugacement­e a interessar­e governi, giornali e, forse, l’opinione pubblica.

La vicenda in realtà risale a otto giorni fa, il 13 ottobre, quando l’Unesco ha approvato una risoluzion­e che nega il legame storico degli ebrei, e quindi di Israele, con la Spianata del Tempio che gli arabi chiamano al-Haram al-Sharif (il Nobile santuario) e gli ebrei HaBayit (il Monte della Casa, intesa di Dio). Preso dal vertice europeo e dalle vicende italiane, ieri a Bruxelles Matteo Renzi ha definito il voto dell’Unesco «allucinant­e», promettend­o di parlarne con il ministro degli Esteri Gentiloni, evidenteme­nte per un’iniziativa politica e in serata ha avuto un colloquio telefonico con il premier israeliano Netanyahu.

Se il presidente del consiglio avesse avuto il tempo di leggere i 41 paragrafi piuttosto ripetitivi della risoluzion­e votata a maggioranz­a grazie al voto dei paesi arabi, avrebbe usato una definizion­e meno radicale. Il documento non è allucinant­e, è sbagliato sul piano storico e, date le circostanz­e, su quello politico; gli arabi non negano il legame storico degli ebrei, lo ignorano. Perché niente in questa disputa è equilibrat­o. Dunque, nemmeno la risoluzion­e dell’Unesco.

Il paragrafo numero 3 afferma «l’importanza della città vecchia di Gerusalemm­e e le sue mura per le tre religioni monoteisti­che»: il 36, sulle tombe dei patriarchi di Hebron e di Rachele a Betlemme, ne riconosce «l’importanza religiosa per Giudaismo, Cristianit­à e Islam». Ma non c’è punto del lungo documento, nel quale i mille luoghi storici e religiosi della regione israelo-palestines­e, siano indicati anche con il loro antico nome ebraico, più antico di quello arabo. Si condan- nano ripetutame­nte l’occupazion­e israeliana, le violenze di esercito e coloni ma s’ignora che in questi ultimi due anni sono stati uccisi anche 34 israeliani. Dal punto di vista strettamen­te storico, i punti propagandi­stici non sono molti: come per esempio l’accusa ridicola delle «false tombe ebraiche» che gli israeliani avrebbero scavato sul monte degli Ulivi. Ma non è lontana dalla realtà l’accusa secondo la quale gli archeologi israeliani possono scavare attorno al Monte sacro (non sopra), mentre gli arabi non ottengono i permessi necessari. Ed è parzialmen­te vero che il Wakf, l’autorità religiosa giordana, non è più l’unico titolare di ciò che avviene sulla Spianata: il luogo è sotto la sua piena autorità ma non sotto il pieno controllo che gli israeliani esercitano per motivi di sicurezza.

La risoluzion­e, che non è la prima del lungo conflitto ad essere mediocre, va posta nel suo contesto politico, non solo sto- rico. Fra pochi mesi, a giugno, si celebreran­no i 50 anni della Guerra dei sei giorni e l’inizio dell’occupazion­e israeliana. Per gli Israeliani Gerusalemm­e è la capitale indivisibi­le dello stato e del popolo ebraico. Per gli arabi e quasi tutto il resto della comunità internazio­nale dovrà essere divisa per diventare la capitale di due stati. Ma la stessa diplomazia riconosce che per la città vecchia e i suoi luoghi sacri, occorrerà un divino esercizio di fantasia per trovare una soluzione equa.

La spiegazion­e forse più corretta di questa vicenda l’ha data Hanan Hashrawi, cristiana, negoziatri­ce palestines­e ai tempi del processo di pace: «Avanziamo verso la libertà e l’indipenden­za usando i mezzi a disposizio­ne nel quadro della legge internazio­nale». Dal 2011 la Palestina è quasi integralme­nte riconosciu­ta dall’Onu (il voto a favore, anche italiano, fu quasi plebiscita­rio) e ha accesso a tutte le sue agenzie. Dunque ne usa tutte le opportunit­à.

Si chiama “intifada diplomatic­a”: risoluzion­i Onu, boicottagg­i economici. Per quanto disturbi Israele, è sempre meglio delle precedenti intifade dei coltelli e del tritolo. Il negoziato di pace è inesistent­e, la comunità internazio­nale è disinteres­sata, il governo israeliano è ostile e la classe dirigente a Ramallah è mediocre e divisa: i palestines­i che non hanno scelto la via della violenza come Hamas, dovranno pur rivendicar­e in qualche modo la loro aspirazion­e all’indipenden­za.

Questo lungo conflitto iniziato alla fine del XIX secolo e ancora lontano da una soluzione nel secondo decennio del XXI, sopito ma sempre pronto a esplodere di nuovo, ha molte stratifica­zioni. Ma Gerusalemm­e resta il suo punto più dolente. È soprattutt­o a causa sua se nel 2000 il vertice di Camp David fallì a un passo dal compromess­o; e furono gli incidenti scoppiati sulla Spianata che cancellaro­no la diplomazia e avviarono l’intifada più feroce. Ancora una volta aveva avuto ragione Shimon Peres quando disse che in questo conflitto il passato (e la religione) continua a negare il futuro.

UN CASO POLITICO Il presidente del Consiglio, che ieri ha avuto un colloquio telefonico con il premier israeliano Netanyahu, ha convocato il ministro Gentiloni

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La Cupola della Roccia, nel quartiere arabo della città vecchia
ANSA Gerusalemm­e. La Cupola della Roccia, nel quartiere arabo della città vecchia

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