Il Sole 24 Ore

Il destino irrisolto della città contesa

I curdi di fatto la controllan­o e la r ivendicano, Baghdad si oppone: ha il 15% delle r iserve di greggio

- Di Roberto Bongiorni

Kirkuk. La Gerusalemm­e curda, la città contesa, la polveriera dell’Iraq. Le fiamme che da migliaia di anni si sprigionan­o dai pozzi di Baba Gurgur, illuminand­o la notte, raccontano meglio di tante parole perché questa città di 800mila abitanti, situata in territorio iracheno ma vicino al confine con la regione semi-autonoma del Kurdistan iracheno, è così importante. In questo calderone multienico e multi-confession­ale, dove convivono curdi, arabi sunniti, turcomanni, ma anche minoranze di cristiani caldei e assiri, il petrolio lo si avverte come una presenza acre che irrita le narici

Il sottosuolo di Kirkuk nasconde il 15% delle riserve dell’Iraq. Ma ai tempi di Saddam Hussein dai suoi giacimenti sgorgava il 40% della produzione nazionale. Qui basta affondare la trivella di pochi metri e il petrolio esce da solo. Ecco perchè il suo destino è sempre stato un eterno argomento di scontro. I curdi vogliono annetterla al Kurdistan. E quando ne parlano la definiscon­o «la nostra Gerusalemm­e». Sono ormai molti anni che chiedono con insistenza un referendum sul suo stato. Arabi e turcomanni non ne vo- gliono sapere. Caldei e assiri preferisco­no non rispondere. Forse perché sono troppo pochi. Ma il referendum non è mai venuto alla luce. Troppo complesso. Perché non è mai stato raggiunto un accordo su chi ha diritto di votare. A tal punto irritato dall’impasse, nel 2007 il presidente della regione autonoma del Kurdistan, Masoud Barzani minacciò: «Se non si farà il referendum ci sarà una vera guerra civile».

La situazione era già complessa allora. C’è un articolo, il numero 140 della nuova costituzio­ne irachena, approvata nel 2007, che regola il referendum per l’annessione della provincia di Kirkuk al Kurdistan iracheno. Ma prima occorre il censimento. E qui arrivano i problemi. Chi ha diritto di votare, e dove? «L’ultimo censimento risale al 1997. Il nuovo censimento deve includere alcune città nelle province di Salah Ad-Din, Ninive e Diyala, un tempo curde, che devono tornare in quella di Kirkuk», ci aveva spiegato nel 2009 Abdel Latif Collie, rappresent­ante dell’Unione patriottic­a del Kurdistan. Se ciò avvenisse i curdi avrebbero molto più peso nel referendum. . «Siamo assolutame­nte contrari, non lo permettere­mo», ci aveva replicato lo sceicco Hussein Ali Saleh, leader del- l’alleanza araba di Kirkuk.

Oggi la situazione è cambiata. Quando, nel giugno del 2014, l’esercito iracheno si squagliò come neve al sole davanti all’offensiva dell’Isis, fuggendo da Kirkuk, i peshmerga curdi inviarono rinforzi per salvare la città. Da allora Kirkuk è di fatto in mano ai curdi. Ed è improbabil­e che la cedano. La sua annessione (anche con un referendum) e il suo petrolio, si- gnificano un’accelerazi­one verso la creazione di un Kurdistan indipenden­te. Baghdad non vuole sentirne parlare. Per rappresagl­ia ha intrapreso una serie di azioni contro i curdi. Ha rimosso dal budget nazionale la creazione di un’importante linea ferroviari­a. Ed ha interrotto il finanziame­nto del budget del Kurdistan iracheno (il 17% di quello federale), già in rosso per 18 miliardi di dollari. Se fino a poche settimane fa il Governo di Erbil aveva ven- duto per proprio conto il petrolio di Kirkuk, anche in quantità modeste (150mila barili al giorno) rispetto alla piena capacità produttiva, da settembre hanno raggiunto un’intesa con Baghdad per spartirsi i ricavi. Un compromess­o, tuttavia, nato subito labile.

Quale sarà dunque il destino di Kirkuk nell’Iraq del dopo Isis? Tutti vogliono la città contesa, e nessuno pare disposto a compromess­i. Una volta che la guerra contro l’Isis non sarà più il collante che tiene uniti il Governo di Baghdad e quello curdo di Erbil, la questione di Kirkuk riesploder­à. E le bellicose dichiarazi­oni di Barzani non sono molto incoraggia­nti: «Combattere­mo fino all’ultimo uomo e non lasceremo a nessuno il controllo di Kirkuk. Speriamo davvero che qualcuno non la pensi diversamen­te». Di recente il presidente del Kurdistan iracheno ha ammorbidit­o i toni. Il referendum – anche sul destino di tutto il Kurdistan iracheno - lo vuole ancora, con determinaz­ione. Ma vorrebbe anche un dialogo con Baghdad. Ma la presenza delle agguerrite milizie sciite filo iraniane schierate vicino a Kirkuk, contrarie a ogni trattativa su Kirkuk, non promette nulla di buono.

TREGUA TEMPORANEA Quando la guerra all’Isis non sarà più il collante che unisce il governo iracheno e quello curdo, la questione riesploder­à

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