Il destino irrisolto della città contesa
I curdi di fatto la controllano e la r ivendicano, Baghdad si oppone: ha il 15% delle r iserve di greggio
Kirkuk. La Gerusalemme curda, la città contesa, la polveriera dell’Iraq. Le fiamme che da migliaia di anni si sprigionano dai pozzi di Baba Gurgur, illuminando la notte, raccontano meglio di tante parole perché questa città di 800mila abitanti, situata in territorio iracheno ma vicino al confine con la regione semi-autonoma del Kurdistan iracheno, è così importante. In questo calderone multienico e multi-confessionale, dove convivono curdi, arabi sunniti, turcomanni, ma anche minoranze di cristiani caldei e assiri, il petrolio lo si avverte come una presenza acre che irrita le narici
Il sottosuolo di Kirkuk nasconde il 15% delle riserve dell’Iraq. Ma ai tempi di Saddam Hussein dai suoi giacimenti sgorgava il 40% della produzione nazionale. Qui basta affondare la trivella di pochi metri e il petrolio esce da solo. Ecco perchè il suo destino è sempre stato un eterno argomento di scontro. I curdi vogliono annetterla al Kurdistan. E quando ne parlano la definiscono «la nostra Gerusalemme». Sono ormai molti anni che chiedono con insistenza un referendum sul suo stato. Arabi e turcomanni non ne vo- gliono sapere. Caldei e assiri preferiscono non rispondere. Forse perché sono troppo pochi. Ma il referendum non è mai venuto alla luce. Troppo complesso. Perché non è mai stato raggiunto un accordo su chi ha diritto di votare. A tal punto irritato dall’impasse, nel 2007 il presidente della regione autonoma del Kurdistan, Masoud Barzani minacciò: «Se non si farà il referendum ci sarà una vera guerra civile».
La situazione era già complessa allora. C’è un articolo, il numero 140 della nuova costituzione irachena, approvata nel 2007, che regola il referendum per l’annessione della provincia di Kirkuk al Kurdistan iracheno. Ma prima occorre il censimento. E qui arrivano i problemi. Chi ha diritto di votare, e dove? «L’ultimo censimento risale al 1997. Il nuovo censimento deve includere alcune città nelle province di Salah Ad-Din, Ninive e Diyala, un tempo curde, che devono tornare in quella di Kirkuk», ci aveva spiegato nel 2009 Abdel Latif Collie, rappresentante dell’Unione patriottica del Kurdistan. Se ciò avvenisse i curdi avrebbero molto più peso nel referendum. . «Siamo assolutamente contrari, non lo permetteremo», ci aveva replicato lo sceicco Hussein Ali Saleh, leader del- l’alleanza araba di Kirkuk.
Oggi la situazione è cambiata. Quando, nel giugno del 2014, l’esercito iracheno si squagliò come neve al sole davanti all’offensiva dell’Isis, fuggendo da Kirkuk, i peshmerga curdi inviarono rinforzi per salvare la città. Da allora Kirkuk è di fatto in mano ai curdi. Ed è improbabile che la cedano. La sua annessione (anche con un referendum) e il suo petrolio, si- gnificano un’accelerazione verso la creazione di un Kurdistan indipendente. Baghdad non vuole sentirne parlare. Per rappresaglia ha intrapreso una serie di azioni contro i curdi. Ha rimosso dal budget nazionale la creazione di un’importante linea ferroviaria. Ed ha interrotto il finanziamento del budget del Kurdistan iracheno (il 17% di quello federale), già in rosso per 18 miliardi di dollari. Se fino a poche settimane fa il Governo di Erbil aveva ven- duto per proprio conto il petrolio di Kirkuk, anche in quantità modeste (150mila barili al giorno) rispetto alla piena capacità produttiva, da settembre hanno raggiunto un’intesa con Baghdad per spartirsi i ricavi. Un compromesso, tuttavia, nato subito labile.
Quale sarà dunque il destino di Kirkuk nell’Iraq del dopo Isis? Tutti vogliono la città contesa, e nessuno pare disposto a compromessi. Una volta che la guerra contro l’Isis non sarà più il collante che tiene uniti il Governo di Baghdad e quello curdo di Erbil, la questione di Kirkuk riesploderà. E le bellicose dichiarazioni di Barzani non sono molto incoraggianti: «Combatteremo fino all’ultimo uomo e non lasceremo a nessuno il controllo di Kirkuk. Speriamo davvero che qualcuno non la pensi diversamente». Di recente il presidente del Kurdistan iracheno ha ammorbidito i toni. Il referendum – anche sul destino di tutto il Kurdistan iracheno - lo vuole ancora, con determinazione. Ma vorrebbe anche un dialogo con Baghdad. Ma la presenza delle agguerrite milizie sciite filo iraniane schierate vicino a Kirkuk, contrarie a ogni trattativa su Kirkuk, non promette nulla di buono.
TREGUA TEMPORANEA Quando la guerra all’Isis non sarà più il collante che unisce il governo iracheno e quello curdo, la questione riesploderà