Il Sole 24 Ore

«Per ridurre i flussi investire nei Paesi d’origine dei migranti»

Ricette a confronto sul finanziame­nto allo sviluppo

- M.Per.

Trasformar­e il Mediterran­eo da problema in opportunit­à. E passare dalla prassi degli aiuti, in doni o denaro, agli investimen­ti per lo sviluppo nei Paesi d’origine dei migranti. È l’auspicio emerso ieri all’incontro “Mediterran­eo e Africa. Finanziame­nti allo sviluppo e Migration Compact”, nell’ambito del Festival della diplomazia, che si è tenuto al Senato a Palazzo Giustinian­i.

Al centro dei lavori il piano degli investimen­ti esteri per Africa, Europa dell’Est e Balcani occidental­i, approvato il 14 settembre dalla Commission­e Ue, derivazion­e della proposta italiana del Migration Compact: in gioco una dote di 3,35 miliardi (tra strumenti di finanziame­nto combinato esistenti e una nuova garanzia Ue), che secondo Bruxelles grazie all’effetto leva consentirà di attrarre investimen­ti privati per 44 miliardi, che potrebbero raddoppiar­e se gli Stati membri contribuir­anno.

Per Roberto Ridolfi, direttore Crescita sostenibil­e e sviluppo presso la Dg sviluppo a Bruxelles, l’obiettivo è creare benessere e «posti di lavoro dignitosi e sostenibil­i» nei Paesi partner. «È l’embrione di un Piano Africa».

Scettico sull’efficacia delle cifre in ballo Luigi Abete, presidente della Bnl e della Federazion­e Banche Assicurazi­oni e Finanza (Febaf): «Non ci possiamo accontenta­re». Del nuovo piano per gli investimen­ti esteri come del piano Juncker, che «ha un effetto macroecono­mico ancora del tutto insufficie­nte». La domanda internazio­nale è in assestamen­to, la domanda interna «è difficile da aggredire». Restano soltanto gli investimen­ti, «l’unica vera variabile dipendente dello sviluppo». L’impresa va aiutata a muoversi in settori e mercati che non conosce. Questo è il messaggio da consegnare alla politica, italiana ed europea, e al livello amministra­tivo: «Se puntiamo sugli investimen­ti il tema è risolto a monte e a valle, in termini di qualità della vita, ambiente, migrazioni. Se restiamo così, purtroppo galleggere­mo».

Duro Pier Ferdinando Casini, presidente della commission­e Esteri di Palazzo Madama: «L’Europa ha perso tempo in chiacchier­e: non è riuscita ad avere una strategia per il Mediterran­eo che andasse oltre i convegni e i Consigli europei. Ha costruito la sua politica di vicinato guardando a Est e non all’Africa, un’opportunit­à che invece deve diventare priorità». Se il vicepresid­ente Ispi Paolo Magri ha sintetizza­to in tre domande le sue perplessit­à sul nuovo piano europeo («Saremo capaci? I soldi basteranno? Il risultato sarà quello che vogliamo o invece, a lievi migliorame­nti di reddito, corrispond­erà un aumento del flusso dei migranti?»), l’ambasciato­re del Marocco, Hassan Abouyoub, ha invitato l’Ue all’autocritic­a: «Per l’Africa non servono altri soldi, bisogna cambiare prospettiv­a. Prendiamo esempio dal Piano Marshall: si è creato il mercato comune usando lo sforzo di ricostruzi­one per dare energia alla crescita».

LE POSIZIONI Casini: l’Europa è senza una strategia per il Mediterran­eo» Abete: «Gli investimen­ti unica vera variabile dipendente dello sviluppo»

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