Contro le contestazioni la difesa è a tutto campo
Dall’atto impositivo al contenzioso
La difesa parte dalla contestazione punto per punto già in contradditorio e dalla risoluta smentita delle presunzioni del Fisco.
La prima fase
Occorre tener presente che, qualora si decidesse di impugnare l’atto impositivo che sarà emesso in esito al contraddittorio, quasi certamente il giudizio del collegio tributario adito farà leva sulle dichiarazioni confessorie del contribuente giacché il Fisco non fornirà prove certe, ma solo presunzioni.
Anche per questo motivo, sarebbe preferibile, quando possibile, non produrre documenti in merito ad esempio a presunti contratti o conferimenti di incarico stipulati con le società estere di cui l’ufficio presume solo l’esistenza sulla base della segnalazione delle autorità fiscali estere. I contratti validi, infatti, possono essere sti- pulati anche in forma non scritta. Di conseguenza, anche sul contenuto dei presunti contratti può essere opportuno smentire le presunzioni del Fisco.
Il contenzioso
Una volta che sarà emesso l’atto impositivo, in sede di impugnazione, occorrerà eccepirne l’illegittimità innanzitutto per infondatezza dell’accertamento poiché effettuato in assoluta carenza di validi elementi probatori e per mancato adempimento dell’onere della prova in violazione dell’articolo 2697 Codice civile, secondo cui chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento.
Infatti, in merito a questo principio, anche la Corte di cassazione ha più volte ribadito come, nell’ambito del processo tributario, l’ufficio che ha emesso l’atto impugnato ha l’onere di provare l’esistenza dei fatti che legittimano la relativa pretesa. In particolare, si potrebbe precisare che non si comprende come, in assenza di prove addotte, l’ufficio abbia potuto appurare l’effettiva percezione degli emolumenti da parte del contribuente e la loro tassabilità. In sostanza, si potrebbe contestare che l’atto impositivo è stato emesso senza fornire dimostrazione degli elementi probatori che avrebbero dovuto giustificare le pretese avanzate, quali l’effettiva esistenza del contratto che sarebbe stato sottoscritto con la società estera e l’effettivo incasso delle somme accertate da parte del contribuente.
Inoltre, si potrebbe eccepire l’illegittimità dell’atto impositivo per mancanza della documentazione probatoria a supporto della pretesa e, conseguentemente, per inadempimento dell’obbligo di moti- vazione in violazione dell’articolo 42 del Dpr 600/73 e dell’articolo 7 della legge 212/2000.
I documenti
Come, infatti, conformemente statuito dalla giurisprudenza di legittimità e di merito, la questione circa la mancata esibizione della documentazione, non è formale, ma sostanziale in quanto solo attraverso l’esame dei documenti posti a base della rettifica, il contribuente (e soprattutto il giudice) può verificare se siano state rispettate dall’ufficio le condizioni previste dalle norme e se, nel caso di specie, sussistevano tutti i presupposti per operare tale specifica rettifica.
Ecco perché la mancata presentazione di documenti cui (presuntivamente) l’ufficio avrebbe fatto riferimento, è causa di nullità dell’accertamento, non potendo il giudice adito formulare, nel caso di specie, un giudizio, sia con riferimento ai profili della legittimità delle prove acquisite (e cioè per la sua conformità o meno a legge), che con riferimento ai profili della loro fondatezza.