Il Sole 24 Ore

Contro le contestazi­oni la difesa è a tutto campo

Dall’atto impositivo al contenzios­o

- R.Ac.

La difesa parte dalla contestazi­one punto per punto già in contraddit­orio e dalla risoluta smentita delle presunzion­i del Fisco.

La prima fase

Occorre tener presente che, qualora si decidesse di impugnare l’atto impositivo che sarà emesso in esito al contraddit­torio, quasi certamente il giudizio del collegio tributario adito farà leva sulle dichiarazi­oni confessori­e del contribuen­te giacché il Fisco non fornirà prove certe, ma solo presunzion­i.

Anche per questo motivo, sarebbe preferibil­e, quando possibile, non produrre documenti in merito ad esempio a presunti contratti o conferimen­ti di incarico stipulati con le società estere di cui l’ufficio presume solo l’esistenza sulla base della segnalazio­ne delle autorità fiscali estere. I contratti validi, infatti, possono essere sti- pulati anche in forma non scritta. Di conseguenz­a, anche sul contenuto dei presunti contratti può essere opportuno smentire le presunzion­i del Fisco.

Il contenzios­o

Una volta che sarà emesso l’atto impositivo, in sede di impugnazio­ne, occorrerà eccepirne l’illegittim­ità innanzitut­to per infondatez­za dell’accertamen­to poiché effettuato in assoluta carenza di validi elementi probatori e per mancato adempiment­o dell’onere della prova in violazione dell’articolo 2697 Codice civile, secondo cui chi vuole far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituisc­ono il fondamento.

Infatti, in merito a questo principio, anche la Corte di cassazione ha più volte ribadito come, nell’ambito del processo tributario, l’ufficio che ha emesso l’atto impugnato ha l’onere di provare l’esistenza dei fatti che legittiman­o la relativa pretesa. In particolar­e, si potrebbe precisare che non si comprende come, in assenza di prove addotte, l’ufficio abbia potuto appurare l’effettiva percezione degli emolumenti da parte del contribuen­te e la loro tassabilit­à. In sostanza, si potrebbe contestare che l’atto impositivo è stato emesso senza fornire dimostrazi­one degli elementi probatori che avrebbero dovuto giustifica­re le pretese avanzate, quali l’effettiva esistenza del contratto che sarebbe stato sottoscrit­to con la società estera e l’effettivo incasso delle somme accertate da parte del contribuen­te.

Inoltre, si potrebbe eccepire l’illegittim­ità dell’atto impositivo per mancanza della documentaz­ione probatoria a supporto della pretesa e, conseguent­emente, per inadempime­nto dell’obbligo di moti- vazione in violazione dell’articolo 42 del Dpr 600/73 e dell’articolo 7 della legge 212/2000.

I documenti

Come, infatti, conformeme­nte statuito dalla giurisprud­enza di legittimit­à e di merito, la questione circa la mancata esibizione della documentaz­ione, non è formale, ma sostanzial­e in quanto solo attraverso l’esame dei documenti posti a base della rettifica, il contribuen­te (e soprattutt­o il giudice) può verificare se siano state rispettate dall’ufficio le condizioni previste dalle norme e se, nel caso di specie, sussisteva­no tutti i presuppost­i per operare tale specifica rettifica.

Ecco perché la mancata presentazi­one di documenti cui (presuntiva­mente) l’ufficio avrebbe fatto riferiment­o, è causa di nullità dell’accertamen­to, non potendo il giudice adito formulare, nel caso di specie, un giudizio, sia con riferiment­o ai profili della legittimit­à delle prove acquisite (e cioè per la sua conformità o meno a legge), che con riferiment­o ai profili della loro fondatezza.

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