Sui sottoprodotti prove dall’impresa
Decisione su un caso di deposito incontrollato di scarti di lavorazione della pietra, piastrelle, inerti e plastiche All’imputato l’onere di provare che il rifiuto ha le caratteristiche per essere riutilizzato
pAffinché un rifiuto diventi un sottoprodotto, è necessario che l’imputato dimostri la sussistenza delle quattro condizioni richieste dalla legge perché ci sia tale diversa qualificazione. La dimostrazione va data con particolare riferimento all’effettività e alla certezza del riutilizzo dei materiali. In tema di sottoprodotti, è questo il principio riaffermato dalla Terza sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza 43944 del 18 ottobre 2016.
Con questa pronuncia, i giudici hanno confermato la sentenza della Corte d’appello di Lecce (a sua volta confermativa rispetto a quella del Tribunale) di condanna all’arresto per il de- posito incontrollato di rifiuti speciali non pericolosi e loro gestione non autorizzata.
La Cassazione ha sottolineato, infatti, che ai fini della qualificazione come sottoprodotti, incombe sull’interessato l’onere di fornire la prova che un determinato materiale o una certa sostanza siano destinati ad un ulteriore utilizzo, con certezza ed effettività e non come mera eventualità.
La Suprema Corte ha, in sostanza, ribadito che l’onere della prova circa la sussistenza delle condizioni di legge debba essere assolto da colui che ne invoca l’applicazione.
Nel caso di specie, invece, scarti da lavorazione della pietra e relativi fanghi, materiale inerte, piastrelle, plastiche, vetro e sanitari erano stati depositati in modo incontrollato su un’area di circa 1.600 metri quadrati, in parte spianati e in parte ammassati nelle immediate vicinanze del luogo di lavorazione. Tutto ciò senza che venisse chiarito se e in che misura i materiali potessero essere utilizzati.
Veniva in tal modo ad essere carente l’elemento di prova re- lativo alla sussistenza delle quattro condizioni previste “Codice ambientale” per il concretarsi del sottoprodotto di cui all’articolo 184-bis, del Dlgs 152/2006 e precisamente: 1 è originato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; 1 è certo che sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi; 1 può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica industriale; 1 l’ulteriore utilizzo è legale, cioè, per l’utilizzo specifico, soddisfa tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana.
Anche con riferimento ai fanghi derivanti dalla lavorazione degli inerti di cava e della pietra, la Corte ha confermato la propria giurisprudenza ravvisandoli come rifiuti depositati in modo incontrollato. Sul punto, infatti, la Suprema Corte ha sempre affermato che l’esclusione dalla disciplina sui rifiuti dei fanghi derivanti dallo sfruttamento delle cave (articolo 185, comma 2, lettera d, Dlgs 152/2006) è subordinata alla condizione che tali fanghi derivino direttamente dallo sfrutta- mento e restino entro il ciclo produttivo dell’estrazione e connessa pulitura, in quanto l’attività di sfruttamento del materiale di cava è distinta da quella della sua lavorazione successiva.
Nella fattispecie, la Corte ha confermato l’abbandono di quanto depositato alla rinfusa. Non ha, infatti, riconosciuto la sussistenza degli estremi del deposito temporaneo perché, al tal fine, «è quantomeno necessario … che i materiali siano raggruppati per categorie omogenee», non rilevando l’affermazione del ricorrente di aver riposto i materiali in modo ordinato e per un periodo transitorio.
I PALETTI Occorre che il materiale derivi da una produzione e sia certo che sarà riusato nel processo in modo lecito e senza ulteriori trattamenti