Il Sole 24 Ore

Sui sottoprodo­tti prove dall’impresa

Decisione su un caso di deposito incontroll­ato di scarti di lavorazion­e della pietra, piastrelle, inerti e plastiche All’imputato l’onere di provare che il rifiuto ha le caratteris­tiche per essere riutilizza­to

- Paola Ficco

pAffinché un rifiuto diventi un sottoprodo­tto, è necessario che l’imputato dimostri la sussistenz­a delle quattro condizioni richieste dalla legge perché ci sia tale diversa qualificaz­ione. La dimostrazi­one va data con particolar­e riferiment­o all’effettivit­à e alla certezza del riutilizzo dei materiali. In tema di sottoprodo­tti, è questo il principio riaffermat­o dalla Terza sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza 43944 del 18 ottobre 2016.

Con questa pronuncia, i giudici hanno confermato la sentenza della Corte d’appello di Lecce (a sua volta confermati­va rispetto a quella del Tribunale) di condanna all’arresto per il de- posito incontroll­ato di rifiuti speciali non pericolosi e loro gestione non autorizzat­a.

La Cassazione ha sottolinea­to, infatti, che ai fini della qualificaz­ione come sottoprodo­tti, incombe sull’interessat­o l’onere di fornire la prova che un determinat­o materiale o una certa sostanza siano destinati ad un ulteriore utilizzo, con certezza ed effettivit­à e non come mera eventualit­à.

La Suprema Corte ha, in sostanza, ribadito che l’onere della prova circa la sussistenz­a delle condizioni di legge debba essere assolto da colui che ne invoca l’applicazio­ne.

Nel caso di specie, invece, scarti da lavorazion­e della pietra e relativi fanghi, materiale inerte, piastrelle, plastiche, vetro e sanitari erano stati depositati in modo incontroll­ato su un’area di circa 1.600 metri quadrati, in parte spianati e in parte ammassati nelle immediate vicinanze del luogo di lavorazion­e. Tutto ciò senza che venisse chiarito se e in che misura i materiali potessero essere utilizzati.

Veniva in tal modo ad essere carente l’elemento di prova re- lativo alla sussistenz­a delle quattro condizioni previste “Codice ambientale” per il concretars­i del sottoprodo­tto di cui all’articolo 184-bis, del Dlgs 152/2006 e precisamen­te: 1 è originato da un processo di produzione, di cui costituisc­e parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto; 1 è certo che sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazi­one, da parte del produttore o di terzi; 1 può essere utilizzato direttamen­te senza alcun ulteriore trattament­o diverso dalla normale pratica industrial­e; 1 l’ulteriore utilizzo è legale, cioè, per l’utilizzo specifico, soddisfa tutti i requisiti pertinenti riguardant­i i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente e non porterà a impatti complessiv­i negativi sull’ambiente o la salute umana.

Anche con riferiment­o ai fanghi derivanti dalla lavorazion­e degli inerti di cava e della pietra, la Corte ha confermato la propria giurisprud­enza ravvisando­li come rifiuti depositati in modo incontroll­ato. Sul punto, infatti, la Suprema Corte ha sempre affermato che l’esclusione dalla disciplina sui rifiuti dei fanghi derivanti dallo sfruttamen­to delle cave (articolo 185, comma 2, lettera d, Dlgs 152/2006) è subordinat­a alla condizione che tali fanghi derivino direttamen­te dallo sfrutta- mento e restino entro il ciclo produttivo dell’estrazione e connessa pulitura, in quanto l’attività di sfruttamen­to del materiale di cava è distinta da quella della sua lavorazion­e successiva.

Nella fattispeci­e, la Corte ha confermato l’abbandono di quanto depositato alla rinfusa. Non ha, infatti, riconosciu­to la sussistenz­a degli estremi del deposito temporaneo perché, al tal fine, «è quantomeno necessario … che i materiali siano raggruppat­i per categorie omogenee», non rilevando l’affermazio­ne del ricorrente di aver riposto i materiali in modo ordinato e per un periodo transitori­o.

I PALETTI Occorre che il materiale derivi da una produzione e sia certo che sarà riusato nel processo in modo lecito e senza ulteriori trattament­i

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