Rimborsi diretti a rischio
La tesi sostenuta nell’ordinanza 19482/16 potrebbe indurre a ritenere che un soggetto non residente, identificato direttamente o con rappresentante fiscale in Italia, possa chiedere il rimborso dell’eventuale eccedenza a credito solo attraverso il rimborso “interno” e non mediante il rimborso “diretto”. Tale soluzione pare tuttavia criticabile alla luce delle previsioni contenute nella direttiva di rifusione.
La Corte di cassazione, nel rimettere la questione alle Sezioni unite, sostiene infatti che, per le operazioni rilevanti in Italia, effettuate da un soggetto non residente verso un residente, e in presenza di un’identificazione diretta o della nomina di un rappresentante fiscale, è attraverso tale “posizione” che devono essere adempiuti gli obblighi ed esercitati i diritti in materia di Iva. Tra i diritti potrebbe quindi rientrare l’esercizio della detrazione dell’imposta, anche sotto forma di richiesta di rimborso.
Se pare criticabile la (presunta) forza attrattiva della posizione Iva accesa in Italia in relazione alla fatturazione delle operazioni ivi rilevanti, altrettanto avviene in relazione a un eventuale passaggio obbligato attraverso la stessa per chiedere il rimborso dell’Iva in Italia. Al riguardo, le Entrate si sono mostrate “latitanti” nel fornire indicazioni ufficiali. Infatti, è solo nelle Faq pubblicate online che, nella risposta 40, si afferma che i soggetti identificati direttamente in Italia o che usufruiscono del rappresentante fiscale «non possono richiedere il rimborso dell’Iva ai sensi dell’articolo 38bis2 del Dpr 633/72 ma devono richiedere il rimborso dell’imposta mediante le modalità previste dall’articolo 38bis del citato decreto».
La tesi non pare perfettamente in linea con la normativa comunitaria. Infatti, dalla lettura dell’articolo 170 della direttiva 2006/112/ Ce, emerge la preclusione al rimborso diretto per il soggetto non residente, non dotato di una stabile organizzazione in Italia, che ha effettuato operazioni ivi rilevanti, a esclusione del caso in cui le operazioni territoriali rientrano tra quelle non imponibili di trasporto, nonché tra quelle soggette a reverse charge in cui debitore d’imposta è il cessionario o committente nazionale. Pertanto, in un caso come quello analizzato nell’ordinanza 19482/16, dove le operazioni rilevanti in Italia, poste in essere dal soggetto non residente, rientrano tra quelle per cui l’imposta va assolta a cura del cessionario/ committente residente, dovrebbe essere ammessa la possibilità di chiedere il rimborso dell’ecce- denza a credito direttamente attraverso la procedura di cui all’articolo 38 bis2 del decreto Iva.
In senso conforme pare essere anche l’orientamento della Corte di giustizia Ue. Con la sentenza del 6 febbraio 2014 relativa alla causa C-323/12, infatti, è stato osservato che il diritto al rimborso diretto spetta (anche) ai soggetti che effettuano, nel Paese in cui sono identificati direttamente o in cui hanno nominato un rappresentante fiscale, solo operazioni per le quali il cliente residente deve applicare il reverse charge (articoli 170 e 171 della direttiva 2006/112/Ce). Tale diritto non è escluso per effetto della nomina di un rappresentante fiscale o dell’identificazione diretta nel Paese ove è chiesto il rimborso. Sarebbe pertanto auspicabile che le Sezioni unite si esprimessero a favore della tesi contraria a quella dell’ordinanza di remissione.