Ing prepara la (nuova) svolta digitale
Il nuovo ceo Bragadin: offerta più ampia ai clienti retail e un canale per le Pmi
Dopo conto Arancio, e mutui, ora per Ing è giunta l’ora di accelerare su prodotti di investimento e prestiti e – in futuro - di aprirsi a un nuovo mondo: le Pmi. Il gruppo lavora alla nuova svolta, che equivale a «portare la digitalizzazione al prossimo livello, con nuovi servizi per i vecchi clienti e, soprattutto, nuovi clienti», spiega a Il Sole il ceo Marco Bragadin. Circa 15 miliardi di raccolta retail e 9 di impieghi, 10 miliardi di attivi sul corporate tra crediti e garanzie, per Ing «l’Italia è uno dei mercati dove il gruppo si pone come challenger», spiega Bragadin. Tradotto: i volumi complessivi sono stabili, ma ci sono spazi di crescita a danno dei competitor. Dove? Il primo filone è nella clientela retail: «Con la stessa efficacia di Conto arancio, puntiamo ad arrotondare la nostra offerta, offrendo la possibilità di pianificare gli investimenti e scegliere tra un catalogo semplice e chiaro di prodotti». Altra partita, le Pmi: «Puntiamo ad allargare la nostra esperienza digitale agli imprenditori».
pIn principio era il conto Arancio. Poi sono arrivati i mutui, i prodotti di investimento e i prestiti. Ora per Ing è giunta l’ora di accelerare sugli ultimi due, e – in futuro - di aprirsi a un nuovo mondo: le Pmi. D’altronde al gruppo olandese la rivoluzione copernicana, la multicanalità, è arrivata al debutto, nel 2001. Ora si lavora alla nuova svolta, che equivale a «portare la digitalizzazione al prossimo livello, con nuovi servizi per i vecchi clienti e, soprattutto, nuovi clienti», spiega a Il Sole il ceo Marco Bragadin.
In sella da questo mese, è arrivato da successore di Alessandro Decio, ora in Sace, dopo tre anni da capo del retail Mps: dalla rete fisica di una banca tradizionale a una realtà che ha nel digitale la sua parte più nota il salto è notevole, ma Bragadin ha dalla sua una stagione prebancaria che l’ha visto per 14 anni nelle tlc, prima in Vodafone e poi da ceo di TeleTu. Più o meno, riparte da qui: struttura snella, trasparenza, semplicità, rapporto diretto con i clienti e una presenza sul territorio leggera ma fondamentale, e so- prattutto «ben visibile».
Leader assoluto in Belgio, Olanda e Lussemburgo, dove ha avviato un processo di razionalizzazione che vedrà 8mila uscite anticipate a fronte di 800 milioni di euro di investimenti in digitale, in Italia il gruppo conta sulla divisione retail, Ing direct, e una divisione corporate, meno nota ma «equivalente dal punto di vista del contributo al business», grazie a una rete di un centinaio di grandi clienti: due segmenti agli antipodi, tra i quali si studieranno possibili sinergie.
Circa 15 miliardi di raccolta retail e 9 di impieghi, 10 miliardi di attivi sul corporate tra crediti e garanzie, per Ing «l’Italia è uno dei mercati dove il gruppo si pone come challenger», spiega Bragadin. Tradotto: i volumi complessivi sono stabili, ma ci sono spazi di crescita a danno dei competitor. Dove? Il primo filone è nella clientela retail: «Con la stessa efficacia di Conto arancio, puntiamo ad arrotondare la nostra offerta, offrendo la possibilità di pianificare gli investimenti e scegliere tra un catalogo semplice e chiaro di prodotti». Sfida delicata ma decisiva: è business commissionale puro, dove i ritorni sono alti e particolarmente ambiti in questa lunga fase di tassi zero. Ing parte dai suoi 1,1 milionidiclientidietàmediadi46anni,«a cui offriremo una gamma molto più variegata di servizi. Ma l’obiettivo è andare oltre, allargando il nostro perimetro di mercato di oltre il 10% annuo di qui al 2019».
Altra partita, le Pmi. Per l’Italia si tratta di una prima assoluta: «Puntiamo ad allargare la nostra esperienza digitale agli imprenditori», tra i più insoddisfatti delle banche tradizionali quanto a trasparenza e tempi di reazione. Attesa nei prossimi mesi, l’offerta si concentrerà sui finanziamenti, dove «esploreremo opportunità sulla scia, ad esempio, di quanto sperimentato con successo in Spagna con Kabbage», piattaforma Usa di instant lending .
Escluse le acquisizioni, scongiurati i contraccolpi di un riassetto che, come accennato, riguarderà solo i mercati dove Ing è nata, il gruppo punta tutto sulla crescita interna. In agenda c’è un allargamen- to della base e l’apertura di nuove filiali. Quasi un paradosso, vista la corsa delle banche tradizionali a chiuderelàdovesipuò,maalriguardo Bragadin non ha dubbi: «Può essere costosa in rapporto a quello che ricava, ma per la relazione con il cliente la rete fisica rimane un asset fondamentale». Il canale digitale favorisce la trasparenza e il rapporto diretto, ma «quello fisico svolge un ruolo di rassicurazione ancora importante per la sottoscrizione del primo contratto, anche se poi il cliente abbandona la filiale». Per questo, aggiunge, «non solo apriremo nuovi sportelli, ma aumenteremo le esperienze dove ci mettiamo la faccia, ad esempio mettendo a disposizione la consulenza da remoto anche su Internet». D’altronde l’Italia è uno dei paesi che beneficeranno del piano da 800 milioni di investimentiannunciatoneigiorniscorsi, che serviranno a dotarlo di un sistema operativo unico, e di un’interfaccia uguale per tutti i mercati in cui opera. «Ci siamo ispirati a realtà come Facebook, o meglio ancor Netflix, che si presentano allo stesso modo in tutti i paesi. Siamo tutti molto più simili di quanto crediamo, in fondo è il nostro modo di credere nell’Europa». p Un paese che si mostra ancora troppo chiuso agli investimenti esteri nonostante le multinazionalipuntinosullamanifatturaitaliana «perché le competenze qui sono di alto livello». Il direttore di Nomisma ha ricordato i casi di Bosch, da oltre 20 anni in Puglia e l’Italia è stata scelta per aprire una nuova linea produttiva destinata all’Austria; anche Apple ha scelto la Campania per il suo nuovo laboratorio dopo avere constatato la presenza in Italia di oltre 260mila sviluppatori; infine Philip Morris che alle porte di Bologna ha aperto un nuovo stabilimento preferendo l'Italia alla Germania, «tutti casi in cui le istituzioni e il governo hanno contribuito con determinazione alla loro realizzazione – ricorda Goldstein – dimostrandochefareinvestimenti in Italia non è impossibile».
Non sono da demonizzare le
IL MODELLO FACEBOOK L’Italia tra i paesi beneficiari del piano da 800 milioni di investimenti del gruppo: interfaccia unica e catalogo prodotti più ampio