Chi punta sull’inflazione: i mercati no, i gestori sì
Una piccola percentuale di bond inflation linked nel portafoglio potrebbe riservare sorprese in termini di re ndimento
Il mercato non crede nell'inflazione fino a quando non la vede. Potrebbe essere questa la sintesi di cosa pensano alcuni gestori a caccia di un minimo di rendimento in questo periodo di tassi sotto zero. Così, anche se con “differenziazioni” geografiche più o meno rilevanti, la futura (possibile) crescita del caro-vita potrebbe rappresentare un'opportunità da cogliere al volo adesso, visti i bassi prezzi attuali dei titoli inflation linked. Insomma, non vi è alcuna certezza che l'inflazione corra ma in un contesto in cui i rendimenti nominali dei bond sono così bassi, perfino una bassa inflazione può fare la differenza. Tenendo d'occhio, come sempre, la “giusta” percentuale da dedicare nel portafolgio a questi titoli ed evitando il fai-da-te.
il contesto generale
I modelli statistici che stimano l'inflazione si basano tradizionalmente sul tasso di disoccupazione, su quello di cambio, sull'andamento del prezzo delle materie prime e sulla base monetaria. Nella fase attuale il parametro che spinge svariati osservatori a dire che l'inflazione presto tornerà è legato, in primis, alla fase ultra espansiva di politica monetaria che è in vigore in tutti i paesi sviluppati da ormai sette anni. «Negli Stati Uniti – ricorda Marco Pelissero, di Banca Patrimoni Sella & C. - tassi di disoccupazione bassi hanno sempre portato in passato a una ripresa dei salari. Tecnicamente sarà poi rilevante l'”effetto base” legato al prezzo del petrolio che vedremo sull'inflazione headline da dicembre in avanti. Crediamo – conclude il gestore - che l'inflazione potrebbe nei prossimi anni tornare a crescere e i Governi vedrebbero, tramite essa, ridotto il peso reale dei rispettivi debiti nazionali».
le “varie” inflazioni
Per il prossimo anno i gestori si aspettano un'inflazione del 2-2,5% negli Usa, tra l'1-1,5% nella eurozona e di circa il 3% nel Regno Unito. «Può sembrare poco - quantifica Jonathan Baltora di Axa Im - ma questi numeri rappresentano un punto di svolta per il mercato obbligazionario; questi livelli di inflazione - vicini al target delle Banche centrali – saranno superiori agli attuali rendimenti dei titoli di Stato di lungo termine. Le valutazioni sono ancora interessanti e il mercato per il prossimo decennio si aspetta meno inflazione di quanto prevediamo noi per il prossimo anno. Per esempio, l'inflazione breakeven a 10 anni degli Stati Uniti (riflette l'inflazione media annua nel prossimo decennio già prezzata dal mercato) è attualmente scambiata soltanto all'1,67% a fronte di un tasso d'inflazione core che si attesta al 2,3%. Lo stesso – conclude il money manager - vale anche nella zona euro, dove l'inflazione attesa a 10 anni è scambiata soltanto allo 0,92%».
Nell’area euro, però, visti i tassi di inflazione di pareggio bassi, i titoli inflation-linked non sembrano essere un fattore catalizzatore. «Potrebbero però diventarlo – ipotizza Axel Botte, di Natixis Am - se vi sarà un cambiamento nel programma di acquisto titoli della Bce, forse a dicembre».
le strategie
Sarebbero dunque due i modi per posizionare i portafogli e guadagnare da questo contesto: «Scommettere - spiega Baltora - su un aumento delle aspettative di inflazione, che riteniamo troppo basse, con l'acquisto di obbligazioni indicizzate all'inflazione e con la copertura sulla sensibilità ai tassi di interesse. Questa strategia ha una tendenza a funzionare quando i tassi di interesse salgono ma soffrono in caso di rally obbligazionari. La seconda – conclude il gestore di Axa Im - potrebbe essere quella di acquistare inflation linked con scadenza inferiore ai 5 anni che, storicamente, hanno avuto una performance relativamente vicina all'inflazione».