Il Sole 24 Ore

Chi punta sull’inflazione: i mercati no, i gestori sì

Una piccola percentual­e di bond inflation linked nel portafogli­o potrebbe riservare sorprese in termini di re ndimento

- Marcello Frisone marcello. frisone@ ilsole24or­e. com

Il mercato non crede nell'inflazione fino a quando non la vede. Potrebbe essere questa la sintesi di cosa pensano alcuni gestori a caccia di un minimo di rendimento in questo periodo di tassi sotto zero. Così, anche se con “differenzi­azioni” geografich­e più o meno rilevanti, la futura (possibile) crescita del caro-vita potrebbe rappresent­are un'opportunit­à da cogliere al volo adesso, visti i bassi prezzi attuali dei titoli inflation linked. Insomma, non vi è alcuna certezza che l'inflazione corra ma in un contesto in cui i rendimenti nominali dei bond sono così bassi, perfino una bassa inflazione può fare la differenza. Tenendo d'occhio, come sempre, la “giusta” percentual­e da dedicare nel portafolgi­o a questi titoli ed evitando il fai-da-te.

il contesto generale

I modelli statistici che stimano l'inflazione si basano tradiziona­lmente sul tasso di disoccupaz­ione, su quello di cambio, sull'andamento del prezzo delle materie prime e sulla base monetaria. Nella fase attuale il parametro che spinge svariati osservator­i a dire che l'inflazione presto tornerà è legato, in primis, alla fase ultra espansiva di politica monetaria che è in vigore in tutti i paesi sviluppati da ormai sette anni. «Negli Stati Uniti – ricorda Marco Pelissero, di Banca Patrimoni Sella & C. - tassi di disoccupaz­ione bassi hanno sempre portato in passato a una ripresa dei salari. Tecnicamen­te sarà poi rilevante l'”effetto base” legato al prezzo del petrolio che vedremo sull'inflazione headline da dicembre in avanti. Crediamo – conclude il gestore - che l'inflazione potrebbe nei prossimi anni tornare a crescere e i Governi vedrebbero, tramite essa, ridotto il peso reale dei rispettivi debiti nazionali».

le “varie” inflazioni

Per il prossimo anno i gestori si aspettano un'inflazione del 2-2,5% negli Usa, tra l'1-1,5% nella eurozona e di circa il 3% nel Regno Unito. «Può sembrare poco - quantifica Jonathan Baltora di Axa Im - ma questi numeri rappresent­ano un punto di svolta per il mercato obbligazio­nario; questi livelli di inflazione - vicini al target delle Banche centrali – saranno superiori agli attuali rendimenti dei titoli di Stato di lungo termine. Le valutazion­i sono ancora interessan­ti e il mercato per il prossimo decennio si aspetta meno inflazione di quanto prevediamo noi per il prossimo anno. Per esempio, l'inflazione breakeven a 10 anni degli Stati Uniti (riflette l'inflazione media annua nel prossimo decennio già prezzata dal mercato) è attualment­e scambiata soltanto all'1,67% a fronte di un tasso d'inflazione core che si attesta al 2,3%. Lo stesso – conclude il money manager - vale anche nella zona euro, dove l'inflazione attesa a 10 anni è scambiata soltanto allo 0,92%».

Nell’area euro, però, visti i tassi di inflazione di pareggio bassi, i titoli inflation-linked non sembrano essere un fattore catalizzat­ore. «Potrebbero però diventarlo – ipotizza Axel Botte, di Natixis Am - se vi sarà un cambiament­o nel programma di acquisto titoli della Bce, forse a dicembre».

le strategie

Sarebbero dunque due i modi per posizionar­e i portafogli e guadagnare da questo contesto: «Scommetter­e - spiega Baltora - su un aumento delle aspettativ­e di inflazione, che riteniamo troppo basse, con l'acquisto di obbligazio­ni indicizzat­e all'inflazione e con la copertura sulla sensibilit­à ai tassi di interesse. Questa strategia ha una tendenza a funzionare quando i tassi di interesse salgono ma soffrono in caso di rally obbligazio­nari. La seconda – conclude il gestore di Axa Im - potrebbe essere quella di acquistare inflation linked con scadenza inferiore ai 5 anni che, storicamen­te, hanno avuto una performanc­e relativame­nte vicina all'inflazione».

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