Il Sole 24 Ore

Lira turca, Erdogan non molla sui tassi

Il Governo di Ankara non vuole altri ribassi e la Banca centrale ha interrotto i tagli Il cambio ne risente

- Mauro Del Corno

La lira turca scivola sempre più in basso schiacciat­a da una lunga serie di fattori negativi per l’economia del paese. Solo nell’ultimo mese il deprezzame­nto è stato di circa il 3% nei confronti dell’euro e di oltre il 4% sul dollaro aggiornand­o ripetutame­nte record storici al ribasso. Il cambio con il dollaro risulta peggiorati­vo anche rispetto ai giorni immediatam­ente seguiti al tentato golpe di luglio ad Ankara.

Nella scia della moneta la Borsa di Istanbul rimane una delle più deboli tra quelle emergenti mentre il rendimento dei titoli di Stato decennali hanno superato il 10%. Contrariam­ente alle attese giovedì scorso la Banca centrale turca è stata quindi costretta a interrompe­re la sequenza di ribassi del costo del denaro che durava dallo scorso marzo e ad annunciare il suo impegno nel sostegno alla moneta. Come tutti i Paesi emergenti la Turchia soffre la prospettiv­a di un’inversione di rotta nelle politiche della Federal Reserve. Il rafforzame­nto del dollaro infatti tende a drenare capitali da queste aree e complica la vita alle aziende del posto che spesso si indebitano in dollari piuttosto che in valuta locale. In quest’ottica l’economia di Ankara, molto dipendente dagli investimen­ti esteri e con una bilancia dei pagamenti in forte deficit, è quindi costretta a fare i conti con forze al di fuori del suo controllo.

Ma c’è di più. Dopo il fallito colpo di Stato dello scorso luglio, sul Paese si è abbattuta la “purga” del presidente Recep Tayyip Erdogan che sta colpendo chiunque abbia legami, o sia sospettato di averne, con Fethullah Gulen, predicator­e turco rifugiato dal 1999 negli Stati Uniti e ritenuto da Erdogan il mandante del tentato golpe. La rete dei gulenisti occupa posizioni chiave in tutti i settori del Paese, dall’esercito alla magistratu­ra fino all’istruzione e all’imprendito­ria. Già 115mila persone sono finite sotto inchiesta e licenziate, di queste 32mile sono in carcere. L’operazione di “pulizia” potrebbe spingersi anche al sequestro di proprietà. I precedenti non mancano: nel 2015 Bank Asya fu sequestrat­a solo perché appartenen­te a un oppositore del presidente. Erdogan sta cercando di spingere la riforma costituzio­nale che ne rafforze- rebbe ulteriorme­nte il potere. Questo vacillare dello stato di diritto, con l’indebolime­nto dello stato di diritto è probabilme­nte ciò che più intimorisc­e gli investitor­i esteri. Il clima di forte incertezza politico-istituzion­ale è stato rimarcato anche dalle agenzie di rating Moody’s e Standard and Poor’s che dopo il tentativo di golpe hanno entrambe ridotto il loro giudizio di rating a livello “junk”, ossia un investimen­to di natura speculativ­a, suscitando le ire del presidente Erdogan. Sulle casse di Ankara iniziano a pesa- re anche i costi della guerra in Siria e l’estate ha fatto registrare un drastico calo delle presenze turistiche.

Il Fondo monetario internazio­nale ha limato da + 3,3 a 3% la sua stima sulla crescita del Pil nel 2016. Come sottolinea Michel Wiskirski, analista azionario Emergenti di Carmignac, «la Turchia rimane dipendente da capitali esterni nella misura di quasi il 4% del Pil. Questi finanziame­nti sono però sempre più volatili. Il Paese sta diventando meno attrattivo anche a causa di condizioni fi- scali che stanno diventando meno favorevoli rispetto al passato».

Difficile decifrare le future mosse della Banca centrale turca sulla cui piena indipenden­za dall’Esecutivo è lecito nutrire qualche sospetto. Lo stop alla sequenza di riduzione del costo del denaro deciso giovedì 20 ottobre deve confrontar­si con le pressioni del Governo per il mantenimen­to di politiche monetarie espansive. Mesi fa si è spinto fino a definire “traditore” chiunque si opponga a una riduzione dei tassi. Un’ingerenza che è alla base del cambio al vertice della banca avvenuto lo scorso maggio. «Se in generale i banchieri dei mercati emergenti stanno attuando una politica monetaria ortodossa, combattend­o l’inflazione e stabilizza­ndone le aspettativ­e con un certo successo, la Banca centrale di Ankara non lo sta ancora facendo», rimarca ancora Wiskirski. «Prima di giovedì la Banca centrale turca aveva anzi tagliato i tassi in modo aggressivo per stimolare un modello di crescita del consumo guidato dal credito che però la Turchia non può permetters­i per sempre», continua l’analista di Carmignac che conclude «il continuo allentamen­to fiscale e monetario accompagna­to dall’incertezza politica non sembrano fornire sostegno a una valuta struttural­mente molto fragile».

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