Il Sole 24 Ore

L’impatto dei rialzi sulle società energ y

Azioni e obbligazio­ni saranno beneficiat­e Rischi però nel breve

- — L. M.

«Un dollaro al barile in più equivale a 300 milioni di euro di giro d’affari per Eni». A dirlo a Plus24 è Fabiola Banfi, responsabi­le investimen­ti di Valeur Asset Management Lussemburg­o. Eni, tra i titoli italiani, è senza dubbio il maggior beneficiar­io della nuova i mpostazion­e rialzista del greggio, anche se, avverte l’esperta, «altri fattori giocano pure un ruolo rilevante da non sottovalut­are. Ad esempio, una variazione di 5 centesimi al rialzo del dollaro si traduce in 200 milioni di Ebit per la stessa società. Senza considerar­e che, se nel medio periodo, grazie a un supporto da parte anche della domanda asiatica, vediamo un target a 55/60 dollari al barile, nel breve periodo non è da escludere una correzione per i prezzi dell’oro nero».

Per diverse ragioni: la prima è che la domanda è in aumento, «perché da un lato i prezzi sono ancora contenuti e dall’altro perché stiamo assistendo, appunto, a un aumento della domanda struttural­e da parte dell’Asia» spiega Banfi. «Tuttavia al momento siamo ancora in una situazione di eccesso di offerta e i tagli effettivi si avranno, se si raggiunger­à l’accordo, solo a partire dal 2017. Ancora, l’Opec non gode di particolar­e credibilit­à dal momento che il cartello, per esempio a novembre 2015, produceva 1,8 milioni di barili in più rispetto ai target ufficiali. Tutti questi fattori ci fanno ritenere che i prezzi del petrolio non siano destinati a salire an- cora significat­ivamente nel breve periodo, anzi non saremmo stupiti di vedere una correzione. Tuttavia è evidente che questo cambio di rotta scongiura per lo meno uno scenario fortemente ribassista per il 2017».

In questo scenario, dunque, quali società vincono e quali restano al palo? «Il cambio di passo dell’Opec — scrive in un report Martijn Rats, analista di Morgan Stanley — non si è ancora del tutto riflettuto nei portafogli azionari e dunque potrebbe spingere ulteriorme­nte i titoli petrolifer­i. Tuttavia ci aspettiamo per le major europee ancora pressione su utili e cash flow nel terzo trimestre: pressione che scemerà a 12-18 mesi, quando il trend di riduzione di costi insieme a prezzi solo in modesta crescita, porterà un significat­ivo aumento del free cash flow. Il rendimento medio è a 1,9 volte quello di merca- to, rispetto a una media storica a 30 anni di 1,3 volte, quindi potrebbe calare. Ma il dividend yield dei nostri titoli preferiti, Shell e Royal Dutch Shell è di circa il 7 per cento».

Per cogliere il rialzo dei prezzi si può puntare anche, secondo i gestori, sulle obbligazio­ni di emittenti legati al settore energia: ancora una volta ricorrono i nomi di Eni, Royal Dutch Shell, ma anche Repsol e Total. Titoli in euro oppure nelle divise legate al settore energetico come Statoil in corone norvegesi, Gazprom e Novatek in rubli russi, Suncor Energy in dollari canadesi, e infine Exxon Mobile, Chevron, Petrobras, Pemex e Magellan Midstream in dollari Usa o Cnooc in dollari di Honk Kong. In questi casi al rischio corporate si aggiunge quello valutario da tenere in buon conto.

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