«Forma associativa anche per noi»
La chiedono i consulenti finanziari che definiscono anacronistico il divieto
Un divieto anacronistico quello italiano di escludere la forma associata per i consulenti finanziari. Una campagna già iniziata nell'edizione romana di Consulentia2016, viene ulteriormente portata avanti dall’Anasf nel recente appuntamento di Treviso. L'illustrazione di quella che viene ritenuta un’aporia del sistema italiano è stata affidata a Paolo Benazzo, professore ordinario di diritto commerciale all’Università di Pavia, che ha tenuto a precisare che parlando di forma societaria, ci si riferisce alle modalità di organizzazione dei mezzi e delle risorse. Sono queste che attraverso la forma societaria vengono messe in comune, non la prestazione del servizio di consulenza, che invece resta strettamente prestato in forma personale. Secondo Benazzo, il modello italiano di consulente che era stato all’avanguardia in Europa, è diventato di retroguardia quando in tutto il resto del continente la forma associata è stata consentita, mentre in Italia è rimasta esclusa. Quindi è stata lamentata una duplice disparità: una rispetto agli altri consulenti che, a livello comunitario, hanno questa possibilità mentre da noi è esclusa; la seconda è rispetto ad altre professioni italiane, che sono lo stesso basate su un rapporto personale con il cliente e per le quali questa forma di esercizio dell’attività è consentita.
Per Benazzo il recepimento della Mifid imporrebbe l’introduzione di tale forma di organizzazione dell'attività in Italia, quindi senza molti margini. Ma dal lato delle banche le opposizioni restano ancora forti e dunque si tratta di arrivare a una soluzione.
Per esempio Aldo Varenna, presidente di Efpa Italia, ha citato il fatto che le banche autorizzino a volte la formazione di team, che se non hanno forma giuridica autonoma, comunque possono essere visti come una forma embrionale di attività associata. Maurizio Bufi, presidente di Anasf, ha segnalato l'importanza di ragionare non per divieti ma per opportunità, sulle quali sarà poi il mercato a giudicare della validità delle soluzioni offerte.
La forma societaria viene poi individuata da Bufi come una possibilità per affrontare una questione decisiva di fronte alle evoluzioni del mercato, ovvero quella del passaggio generazionale, che comporta modelli di consumi, ma anche di risparmio completamente differenti.
Ora però, spiegano da Anasf, il modello di proposta è più strutturato. Afferma Germana Martano, direttore generale dell'associazione: «Abbiamo specificato il modello più puntuale. Non si tratta di definire una formula di società, visto che su questa possono esistere, come specificato dal professor Benazzo, molte possibilità alternative. Quello che è importante è che non si mette in discussione il modello di prestazione del servizio, del modello di responsabilità e di rapporto fiduciario. Abbiamo presentato queste riflessioni, per poterci confrontare con l’Industria e con il ministero dell’Economia e arrivare a soluzioni condivise».