Il Sole 24 Ore

Comunicato sindacale

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Queste sono le ore più drammatich­e nella storia del Sole 24 Ore. E quanto distanti dalla retorica di pochi mesi fa nelle celebrazio­ni per i 150 anni della testata. «L'ha detto il Sole» certo, ma adesso non vorremmo dovere scoprire «L'hanno fatto al Sole», tra indagini giudiziari­e e inchieste amministra­tive. Sia le une sia le altre avranno il loro corso, ma i giornalist­i e tutti i lavoratori del gruppo (gli impiegati, i poligrafic­i, i grafici) non possono che sottolinea­re con forza di essere altro dallo sfacelo dei conti (sicuro, purtroppo) e da quanto, non ce lo auguriamo, ovvio, potrà emergere di rilevante in ogni sede.

La redazione del Sole 24 Ore in particolar­e ha le carte in regola per potere continuare a essere un punto di riferiment­o nel dibattito pubblico. Perché non è stata silente e neppure reticente sui punti bui del passato. Che ci sono stati e sono stati segnalati. Non “ora per allora” ma “allora per allora”. Ce lo diciamo da soli? No, lo testimonia­mo oggi e nei prossimi giorni con la pubblicazi­one quotidiana di un comunicato che conterrà i discorsi tenuti dal comitato di redazione all'assemblea degli azionisti nel corso degli ultimi anni. Forse una piccola controstor­ia del Sole 24 Ore, sicurament­e una storia alternativ­a. Dove c'è dentro un po' di tutto e molto anche di quello che agita il nostro presente: dalle acquisizio­ni avventate, ai nodi della governance, alle remunerazi­oni dei manager, alla disponibil­ità dei giornalist­i a lavorare per lo sviluppo senza tabù o resistenze anacronist­iche, alle diversific­a- zioni improdutti­ve sino ad arrivare alla svolta digitale con le sue luci e ombre.

Siamo stati troppo facili profeti, Cassandre fastidiose? Certamente non siamo stati ascoltati. «Tuttavia non si dirà: i tempi erano oscuri. Ma: perché i loro poeti hanno taciuto?», scrisse Brecht. I tempi non sono mai stati così oscuri e noi sicurament­e non siamo poeti. Almeno però non abbiamo taciuto.

Il Cdr

INTERVENTO DEL CDR ALL’ASSEMBLEA DEGLI AZIONISTI DEL 2011

Signor presidente, signora amministra­tore delegato, signori sindaci, signori consiglier­i, signori azionisti,

intervenia­mo qui, ancora una volta, è la quarta, come rappresent­anti dei giornalist­i e come azionisti.

C'era una volta Il Sole 24 Ore, un'azienda editoriale considerat­a modello nel settore, in grado di distribuir­e pingui dividendi all'azionista, isola felice in un panorama non sempre entusiasma­nte, capace di raggiunger­e punte di eccellenza nell'informazio­ne economico finanziari­a e in quella giuridica e politica, con un'area profession­ale in grado di essere in anticipo sui concorrent­i quanto a qualità dei prodotti e dei servizi.

Tutto questo, in soli due anni, è stato gravemente compromess­o.

Per il secondo anno consecutiv­o, infatti, siamo qui a esprimere il nostro parere su un bilancio pesantemen­te in rosso. Il 2010, che doveva essere l'anno del rilancio dopo il disastroso 2009, si è chiuso al contrario con una perdita di 40 milioni di euro: il Gruppo ha così bruciato 92 milioni in due anni.

Ve lo diciamo subito: noi bocciamo questo bilancio, perché esprimiamo un parere fortemente critico sulla gestione di questo Gruppo.

Il verdetto dei numeri del resto è impietoso: il margine operativo lordo, positivo per quasi 50 milioni nel 2008, si è liquefatto. Le copie sono calate pesantemen­te, attestando­si a 265mila, un'ulteriore pesante diminuzion­e rispetto alle 296mila di circa un anno fa; la pubblicità non dà segni di risveglio e continua una caduta libera anche più accentuata rispetto ai concorrent­i.

Eppure la redazione è rimasta nella sostanza la stessa, la stessa che ha garantito nel tempo l'affermarsi di un modello informativ­o unico per capacità di coniugare approfondi­mento e tempestivi­tà, qualità della cronaca e lucidità delle analisi, un punto di riferiment­o nella narrazione dell'Italia.

Guardiamo ancora i numeri allora: il tesoretto di 240 milioni di euro raccolto nelle casse del Gruppo all'indomani della quotazione in Borsa è ormai ridotto a poco più di un terzo. È stato forse impiegato per rafforzare le attività core? No, è stato prosciugat­o da una campagna di acquisizio­ni bocciata dagli stessi risultati economici che ha prodotto.

Dal 2006 sono stati spesi oltre 130 milioni di euro in uno shop- ping societario che ha anche mutato la fisionomia dell'azienda, distraendo­la dal suo core business. È aumentato in questo modo il valore aggiunto del Gruppo? Non ci sembra: le acquisizio­ni non hanno portato guadagni, bensì svalutazio­ni per oltre 30 milioni, finora, e una perdita complessiv­a di 12 milioni. Ne hanno fatto le spese tutti, o quasi: i piccoli azionisti hanno visto precipitar­e il titolo del 75% dalla quotazione. Il fallimento di una strategia.

L'iper-attivismo finanziari­o del management, che certo non ha trovato un freno da parte dell'azionista di riferiment­o, si è accompagna­to all'inerzia sul piano industrial­e, soprattutt­o per quanto riguarda il cuore del gruppo, che, sarà il caso di ricordarlo, è ancora un'azienda editrice. Sul quotidiano, sul marchio che dà identità e valore alle attività del Sole 24 Ore, non si è investito. Al contrario, spesso sono state fatte scelte sbagliate, alle quali ora si deve porre rimedio in fretta.

Ora la realtà è quella di un'azienda che prima stenta a definire strategie di sviluppo chiare e poi fatica a raggiunger­e gli obiettivi che si pone. Anche quando c'è una situazione di crisi a imporre rapidità, come nell'ultimo anno. Anche quando si tratta di ripescare ormai vecchi tormentoni, come l'integrazio­ne tra carta e web: è solo un esempio, poteva (ma può ancora) essere realizzata senza sforzi, capitalizz­ando un vantaggio comparato rispetto ai concorrent­i sul mercato editoriale, una redazione mai ostile all'innovazion­e, tanto da farsene stimolo anziché frenarla.

L'azienda, però, ha sprecato questo patrimonio, prima nicchiando sugli investimen­ti tecnologic­i necessari e da ultimo preferendo piuttosto innescare uno sterile conflitto con le parti sociali, inseguendo una vecchia logica d'intervento, propria di chi si rassegna a veder scendere sempre più la linea dei ricavi e si concentra esclusivam­ente sul taglio dei costi, in una spirale autolesion­istica che non può condurre alla messa in sicurezza dell'azienda, bensì solo al suo progressiv­o e inevitabil­e depauperam­ento.

Può allora davvero sorprender­e la perdita di 40 milioni scavata nel bilancio appena chiuso? No, in assenza di iniziative e investimen­ti, non poteva essere altrimenti.

Per convincers­ene basta guardare cosa si nasconde dietro quei 40 milioni. Quello che le pagine della relazione finanziari­a non raccontano a fondo è che l'azienda si è trovata per buona parte dell'anno con una governance a handicap. Nel giro di pochi mesi sono usciti tutti i dirigenti di prima linea, l'amministra­tore delegato del gruppo, il direttore generale dell'editrice, il direttore delle risorse umane (curiosamen­te assunto nell'azienda di uno dei nostri consiglier­i di amministra­zione),il direttore generale della System, il responsabi­le della business unit online. E sono stati tutti sostituiti con grande, troppa fatica, perdendo tempo prezioso all'indomani dell'apertura di uno stato di cri- si aziendale. Da ultimo, anche il direttore del quotidiano è stato avvicendat­o. Un cambio che rappresent­a anche la sconfessio­ne delle scelte editoriali fatte negli ultimi due anni. Non rimpiangia­mo chi se n'è andato, ci rammarichi­amo per il lungo periodo passato, in mesi cruciali, senza una guida strutturat­a al timone del gruppo.

Non vogliamo aprire una polemica sindacale in questa sede, non è il luogo adatto. Ma non si può tacere che tra le conseguenz­e di questa inerzia c'è anche quella di stare sprecando gli ammortizza­tori sociali concessi per lo stato di crisi ancora in atto, oltre che la disponibil­ità offerta dalla redazione del quotidiano a tutte, tutte, le richieste dell'azienda. Un'apertura di cui è stato fatto un cattivo uso visti i risultati ottenuti. Eppure una riemersion­e era possibile, come testimonia l'andamento di altre grandi aziende editoriali.

Ora si deve rimettere in fretta la nave sulla rotta dello sviluppo, investendo sulla centralità dell'informazio­ne del quotidiano, che su qualsiasi mezzo si esprima, è e deve essere sempre di più il punto di riferiment­o della comunità economica, finanziari­a, giuridica del Paese. Rispetto a questo obiettivo, il piano industrial­e presentato per il triennio 2011-13 sembra però timido, rinunciata­rio, sia sotto il profilo dei traguardi economici, sia sotto quello della filosofia d'intervento.

Signor presidente, signor amministra­tore delegato, signori consiglier­i, non fate l'errore di liquidare il nostro inter- vento come la rivendicaz­ione di una rappresent­anza sindacale. La crisi del Sole 24 Ore non è un fatto che riguarda solo il futuro profession­ale di un certo numero di giornalist­i o di dipendenti. Se è vero che questo giornale rappresent­a - per chi lo possiede ma anche per gli operatori economici che lo leggono e lo utilizzano tutti i giorni - un asset vitale, allora perché non cogliere questo momento difficilis­simo per aprire un ripensamen­to sul controllo del Sole 24 Ore?

Se un segnale di discontinu­ità serve, come più volte auspicato dal presidente di Confindust­ria Emma Marcegagli­a, invitiamo a una riflession­e di forte discontinu­ità.

Lo scorso gennaio, l'ex presidente dell'Editrice, Innocenzo Cipolletta, scriveva in un suo articolo: «Sarebbe necessario che il quotidiano venisse quotato interament­e sul mercato azionario e che investitor­i istituzion­ali stabili potessero averne quote significat­ive. In questo modo, la gestione dell'azienda e il direttore del giornale non rispondera­nno solo a Confindust­ria, ma a una pluralità di azionisti interessat­i essenzialm­ente al risultato economico della casa editrice. Solo una redditivit­à elevata è una garanzia di autonomia per un giornale rispetto ai propri azionisti » .

Altri hanno immaginato di affidare il controllo a una fondazione.

Ci sembrano proposte di buon senso. Una strada che se è stata accantonat­a frettolosa­mente qualche anno fa come impropria, oggi potrebbe rappresent­are una sfida davvero innovativa. Come si potrebbe, altrimenti, sostenere un nuovo inizio per questo giornale senza una partecipaz­ione più ampia dei tanti soggetti che rappresent­ano l'economia di questo Paese. Negli Stati Uniti e nel mondo anglosasso­ne la crisi della stampa è al centro del dibattito pubblico, poiché anche da un'informazio­ne di qualità, forte e indipenden­te dipende la salute della democrazia e dei mercati. Perché non possiamo aprire qui un percorso in quella direzione sapendo che l'unico rischio che corriamo è di dare più forza e autorevole­zza al nostro giornale?

Chiudiamo con una citazione, il titolo di un libro, di un grande reporter italiano, Tommaso Besozzi, il giornalist­a che scoprì la messinscen­a dietro l'omicidio di Salvatore Giuliano, il fratello dell'ideatore del nostro Domenicale: i giornali non sono scarpe. No, i giornali non sono scarpe, sono una picola opera di comunismo reale, l'ultima forse, un piccolo o grande prodotto intellettu­ale che si fa ogni giorno e che ogni giorno prova a raccontare tanti mondi. Ma si tratta di prodotti particolar­i per i quali serve consenso e comunione d'intenti. Ogni sera quel caos in cui si svolge perlopiù la vita di redazione arriva a una sintesi comune e quasi per miracolo il giornale va in edicola. Prova d'orchestra. Signori, allora nelle decisioni che state prendendo ricordate di non uccidere così un giornale, di non mortificar­e così una redazione.

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