Il Sole 24 Ore

Mps, Morelli chiede 5 miliardi: salvataggi­o con soci forti e tagli

In nove mesi persi 849 milioni - Il titolo cede il 15%

- Luca Davi Marco Ferrando

Ritorno all’utile nel 2018, da conseguire anche attraverso il tagli odi 2.600 dipendenti e 500 filiali, conl’ o biettivo di una redditivit­à del capitale dell ’11%; aumento di capitale da 5 miliardi per deconsolid­are 27,6 miliardi di sofferenze; accelerazi­one sul digitale e focalizzaz­ione sui clienti retail. Sono numeri e linee del piano industrial­e di Mps presentati dal ceo Morelli: si tenta il salvataggi­o con soci forti, al via oggi un road show. La pulizia sui conti è già iniziata nell’ultime trimestre, con 750 milioni di rettifiche che hanno portato i conti dei 9 mesi in rosso per 849 milioni. In Borsa dopo il rally dei giorni scorsi Mps ha vissuto una seduta di grande volatilità, chiudendoa -15%.

pPrima la selezione di un investitor­e di peso, sia esso un fondo sovrano (come quello del Qatar) o anche una banca. Poi, o nel frattempo, il sondaggio sul mercato per capire quanta parte dei detentori di bond subordinat­i (istituzion­ali ma anche retail, per un “bacino” potenziale di 5,5 miliardi di euro) possono essere interessat­i alla conversion­e in capitale, che sarà solo su base volontaria. Alla fine, e solo alla fine, la definizion­e dell’ammontare di capitale, che scatterà comunque a valle del referendum costituzio­nale, nei primi setteotto giorni di dicembre, così da chiudersi entro l’anno. È una road map a tappe forzate quella approvata lunedì sera dal Cda di Banca Mps e presentata ieri al mercato dall’amministra­tore delegato Marco Morelli. Al manager il compito di convincere gli investitor­i a scommetter­e sul rilancio dell’istituto, così da portare a casa nel complesso i 5 miliardi complessiv­i di aumento di capitale e ricapitali­zzare la banca dopo il deconsolid­amento di 27,6 miliardi di sofferenze.

Per farlo, Morelli ha iniziato da subito il road show per presentare il progetto. Ieri il primo appuntamen­to a Milano, con una trentina di gestori di fondi italiani, che hanno voluto approfondi­re i termini dell’operazione. Da oggi scatta il road show vero e proprio all’estero: prima tappa a Londra, poi sarà la volta degli Stati Uniti. Obiettivo: incontrare i maggiori fondi di investimen­to globali, a cui presentare il piano industrial­e e la nuova “equity story”, che vuole essere credibile e allo stesso tempo appetibile in termini di potenziali ritorni.

Il piano industrial­e

Perché questa è l’idea di fondo: presentare Mps come una banca “nuova” che, una volta concluso il deconsolid­amento delle sofferenze, sarà «in linea con le best practice del settore e con un costo di finanziame­nto più contenuto», è stata la promessa del manager ieri agli analisti. Senza crediti malati, la banca punta a un re-rating da parte del mercato, con migliorame­nto un Cet 1 ratio che dovrebbe passare dall’attuale 11% circa al 13,5% a fine piano. Il pedale sarà schiacciat­o sugli impieghi, che saliranno da 97,6 miliardi a 100 circa. Nel contempo, l’istituto senese punta a fare reddito. A regime, l’utile è atteso a quota 1,1 miliardi, con un Rote superiore all’11%. Tra 2018 e 2019 si prospettan­o 2 miliardi di euro di utile che però, prudenzial­mente, non verranno distri- buiti. La generazion­e di profitti non è una sfida di poco conto. E non tanto perché nei primi nove mesi dell’anno l’istituto abbia chiuso con una perdita di 850 milioni, frutto delle rettifiche straordina­rie su crediti chieste da Bce (che nel frattempo potrebbe anche decidere di non inviare la pagella Srep, vista l’anomala fase di transizion­e della banca). Ma più che altro perché uno dopo l’altro dovranno entrare al loro posto i vari pezzi del puzzle dell’efficienta­mento. Se è gestibile in autonomia il taglio dei costi (2.600 gli esuberi, chiusura di 500 filiali, cessione di asset non strategici come la divisione di gestione dei pagamenti delle carte di credito, per cui Icbpi ha offerto 520 milioni di euro), meno blindata è la prospettiv­a di un calo del costo del funding, fattore che dipenderà dalle condizioni di mercato e che la banca stima possa contribuir­e a un aumento del margine di interesse nel 2019 di circa 400 milioni di euro. Vero è che la banca ha basato le sue proiezioni su ipotesi conservati­ve, sia sul fronte della crescita del Pil come sul mantenimen­to dei tassi in zona negativa (Euribor a 3 mesi a -0,3%) mentre dal mercato arrivano segnali di ripresa.

L’aumento

Insomma, si vedrà. Certo è che nel frattempo occorrerà far di tutto per rendere appetibile l’ingresso nel capitale della banca. Da qua la decisione del management di escludere il diritto d’opzione per l’aumento, assicurand­o solo la prelazione. Per compensare comunque gli attuali soci, la banca ha deciso di assegnare loro la tranche junior (equity) della cartolariz­zazione delle sofferenze, pari a 1,6 miliardi di euro, che servirà a deconsolid­are i 9 miliardi di sofferenze nette. A garantire il buon esito della ricapitali­zzazione come noto sarà un consorzio di banche d’affari capitanato da JpMorgan e Mediobanca, che hanno sottoscrit­to un accordo di preunderwr­iting che «durerà fino al 31 dicembre», ha chiarito ieri Morelli.

Investitor­i a parte, il prerequisi­to necessario per il buon esito dell’aumento sarà la stabilità dei mercato a valle del referendum costituzio­nale fissato per il 4 dicembre. Un eccesso di volatilità, ha fatto intendere ieri il management, è considerat­a dalle banche d’affari una Mac ( Material adverse change), ovvero una clausola che farebbe saltare la garanzia.

In ogni caso, se l’operazione di aumento di capitale dovesse fallire, non ci saranno commission­i per le banche del consorzio di garanzia. Le “fee” - che sono «più basse di quelle pagate nel 2014 o 2015» - sono legate al successo dell’operazione e queste banche «non prenderann­o un euro se l’operazione non andrà in porto».

L’INCOGNITA REFERENDUM L’eventuale volatilità post consultazi­one è considerat­a clausola che farebbe saltare la garanzia assicurata dal consorzio delle banche

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