AMBIENTE E IMPRESA UN SOLO DESTINO
Pochi argomenti che riguardano il futuro sono diventati tanto inconfutabili come quelli che si riferiscono alla salvaguardia dell’ambiente. Ma non è sempre stato così. Fino a circa mezzo secolo fa erano ignorati: nel pieno della fase espansiva dell’industria del dopoguerra, il consumo delle risorse naturali era visto sociologicamente come l’ineluttabile “tragedia” prevista da Garrett Hardin nel suo articolo del 1968 su Science, che condannava i beni comuni a una sorta di ipersfruttamento, oppure era economicamente considerato come esternalità negativa del processo della produzione. Quando uscirono “I limiti dello sviluppo”, del Mit e del Club di Roma, si avviò una prima presa di coscienza, ma la maturazione avrebbe dovuto attendere. Furono necessari gli shock petroliferi, le grandi crisi finanziarie, i disastri ambientali - Bhopal, Seveso, Three Miles Island, Fukushima - perché le coscienze si risvegliassero. Un percorso accidentato. Soltanto di recente, a Parigi, l’anno scorso, i grandi della Terra hanno accettato la scienza che dimostra il cambiamento climatico, che ne vede le cause nell’opera umana e che suggerisce i rimedi. E hanno compreso che è necessario prendere decisioni importanti per frenare una tendenza che potrebbe rendere difficile la sopravvivenza sul pianeta. Ma al cuore della soluzione non potranno essere le decisioni politiche: il centro di tutto è nell’economia e nella ricerca che consente all’economia di adattarsi, di evolvere, di trovare soluzioni concrete alle esigenze dell’umanità. E al cuore dell’economia ci sono le imprese. L’impegno che anche l’Eni sta profondendo per trasformare la propria cultura e per innovare sé stessa, valorizzando l’innovazione degli altri come fa con gli Eni Award dei quali in queste pagine Nòva dà conto, è a sua volta una forma di evoluzione. Il progressivo abbandono della centralità degli idrocarburi si legge nella trasformazione degli Award che è avvenuta e che soprattutto è destinata ad avvenire nei prossimi anni.