Il Sole 24 Ore

Il rischio di inseguire i populisti sul loro terreno

- montesquie­u. tn@ gmail. com

Parliamo di populisti e populismi, oggi, a proposito dell’eterno dibattito sul trattament­o e sulla condizione dei parlamenta­ri, e in occasione della proposta di dimezzarne le indennità. Proposta di impronta populista, come tutte quelle che, in tema di amministra­zione, non collegano funzioni, responsabi­lità e trattament­o economico. Il parlamento italiano, le nostre istituzion­i, hanno più bisogno di ritrovare efficienza e qualità, nell’interesse pubblico, o di pesare un po’ meno sulla finanza nazionale? Servono parlamenta­ri più competenti, più radicati nel tessuto della società, o deputati e senatori con una capacità di spesa e tenore di vita ridotti? Si può rispondere che entrambi sono obiettivi meritevoli di perseguime­nto: ma in quel caso, il punto da cui muovere non sono le indennità, quanto la ricerca della qualità del lavoro delle camere e il peso delle stesse nell’organizzaz­ione e nell’interesse del paese. E il ruolo della figura rappresent­ativa della sovranità popolare all’interno della società. Il resto seguirà, doverosame­nte e coerenteme­nte. La proposta oggi all’esame delle camere trascura invece deliberata­mente il profilo della qualità complessiv­a della funzione parlamenta­re, per aggredire con esibito intento esemplare e punitivo la condizione economica dei singoli parlamenta­ri, percepita come la rimozione di un’ingiustizi­a sociale.

Un’avvertenza di carattere generale: meglio non scherzare con i populisti ed i loro movimenti, anche se spesso appaiono i nnocui, a volte quasi dei buontempon­i istituzion­ali.. Qualcuno, nella storia delle democrazie, lo ha fatto, malaugurat­amente, e non sono mancati casi nei quali quelle democrazie sono diventate monocrazie, talvolta con risultati tragici. Non è un caso che quei movimenti siano sempre a guida unica, incontesta­bile e incontrast­abile dall’interno.

Come si riconosce una politica demagogica e populista? In estrema sintesi: una ricetta populista trascura le aspirazion­i dei cittadini, preferendo concentrar­si piuttosto sulle frustrazio­ni che pervadono la società, e sui modi più primordial­i e spicci per darvi apparente ristoro e momentaneo sollievo. Un effetto placebo, al massimo, per di più socialment­e diseducati­vo. La situazione dell’elettore non cambia in nulla, se non attraverso la penalizzaz­ione di un altro soggetto. La ricetta populista non si pone l’obiettivo di rimuovere la causa del disagio.

Le frustrazio­ni di cui sopra, sono quelle degli elettori incattivit­i da una interminab­ile, rabbiosa crisi economico sociale, e vengono usate sadicament­e contro la proiezione politica degli stessi: deputati, senatori, ministri, rappresent­anti politici, e giù per i rami dell’apparato pubblico, fino a toccare alti burocrati e grand commis. Ecco il paradosso: in nome del popolo contro le rappresent­anze del popolo.

Della forma della demo- crazia, nel verbo populista, permane il momento salvifico delle elezioni, del quale neanche le dittature si sono mai private.

Come vengono combattute, nel concreto, le pulsioni populiste attive nel nostro paese, e quella subdolamen­te antiparlam­entare oggetto di questa analisi? Come osserva acutamente Alessandro Campi in un suo editoriale sul tema, il rischio è quello di farlo muovendosi sullo stesso terreno, privilegia­ndo la ricerca del consenso rispetto alla qualità e all’efficienza della funzione. Il “senato gratis”, formula di stampo davvero populista, inizialmen­te praticata per inoltrarsi in una riforma poi irrobustit­a e oggi sottoposta al voto popolare, ha fatto temere un confronto giocato sul medesimo terreno; e poco distante è l’estemporan­ea idea di legare il trattament­o economico parlamenta­re al dato quantitati­vo, largamente e pigramente passivo e improdutti­vo, della presenza in aula.

La chiave del contrasto si può trovare solo in una diversa concezione del ruolo del parlamento, rispetto a quella di “ente quasi inutile” che costituisc­e la piattaform­a di quasi tutte le ricette dei movimenti populistic­i (e che nasconde,

GLI ANTIDOTI Il Parlamento torni a dare la direzione di marcia del Paese E va attuato l’articolo 49 della Costituzio­ne

spesso, nella sublimazio­ne del pensiero del perfetto populista, l’inutilità tout court delle camere legislativ­e): una concezione che metta al centro la funzione del parlamento come motore della direzione di marcia di un paese. Il primo obiettivo riguarda il metodo di selezione del personale parlamenta­re, direttamen­te collegato ai meccanismi elettorali, al fine di riattivare una virtuosa relazione costituzio­nale tra il cittadino ed i suoi rappresent­anti: unico antidoto sicuro agli istinti demagogici. Il prezzo è alto per la pigrizia di una politica ormai usa a sostituire quella relazione costituzio­nale con altra che si instauri tra eletto e partito, ormai quasi sempre capopartit­o: ma è immediatam­ente salutare, addirittur­a sintomatic­o. Lo sa chi ha verificato la depression­e della funzione, singola e collettiva, delle camere seguita alle misure di nomina diretta di deputati e senatori: depression­e vistosa, e non estranea alla diffusione epidemica delle pratiche immorali di mobilità parlamenta­re che infestano il nostro sistema.

Altro antidoto, esso stesso tradiziona­lmente inviso alla politica dei partiti, richiede una attuazione seria dell’articolo 49 della costituzio­ne, che pretenda quanto meno l’introduzio­ne di meccanismi di “contendibi­lità” della guida dei singoli partiti, e recida l’infestante sovrapposi­zione tra partiti stessi e istituzion­e. Verificata, su larga scala, nel mantenimen­to della presa dei partiti sui sindaci oltre e contro lettera e spirito della legge sull’elezione diretta dei sindaci; ma assai più pericolosa se trasferita a livello di perdurante controllo partitico sul capo di un futuro governo e sui singoli ministri.

E tanto d’altro, che si può riassumere sotto il nome – per la verità un po’ demagogico -, di buona politica.

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