Il Sole 24 Ore

La campagna referendar­ia sui tagli alla casta che elude il tema dell’utilità della politica

- di Lina Palmerini

La campagna referendar­ia sta mettendo al centro della battaglia tra “sì” e “no” la questione dei costi della politica. Matteo Renzi lo fa quando spiega i risparmi dovuti alla fine del bicamerali­smo paritario e alla trasformaz­ione del Senato – da 315 senatori a 100 – e il Movimento 5 Stelle rilancia proponendo una legge per tagliare gli stipendi dei parlamenta­ri dimezzando l’indennità. Ieri è stata un po’ la giornata clou di questa contesa con una scia di polemiche nell’Aula di Montecitor­io che ha rinviato la discussion­e della legge dei grillini. Il fatto è che questo duello elude il vero tema che riguarda la classe politica: la sua utilità. La percezione dei cittadini rispetto al merito e all’uti- lità dei parlamenta­ri è ai minimi termini – come raccontano i sondaggi - ed è difficile che riducendo i costi automatica­mente si alzi la consideraz­ione per la classe politica, benché più povera. Il rischio insomma è che se i partiti non si danno come obiettivo quello di riacquista­re una funzione “utile”, anche i 5mila euro lordi – come propongono i 5 Stelle – possono diventare troppi. Una spesa inutile, appunto, perché inutile viene ritenuto il servizio che la politica rende al popolo.

Una volta, durante la prima repubblica, la consideraz­ione verso la classe dirigente seguiva altre traiettori­e. Da un lato veniva riconosciu­ta un’autorità morale o intellettu­ale ad alcuni politici del passato che, invece, si fa fatica ad attribuire ai leader attuali; dall’altro la politica provvedeva - con grande dispendio di risorse pubbliche – ad andare incontro ai bisogni dell’elettorato. Il legame con il territorio era molto stretto, c’erano le preferenze e i voti di scambio, e soprattutt­o i partiti assolvevan­o alla funzione di grandi uffici di collocamen­to. Non era un’idea alta di politica, certo, ma le forze politiche svolgevano un ruolo che faceva comodo a tutti e dunque nessuno lo metteva in discussion­e. Una parte dell’esplosione del debito pubblico ha avuto origine da lì e, finché si è potuto, il patto tra elettori e parlamenta­ri ha retto.

Oggi che quel patto non può più avere le dimensioni del passato, che la spesa pubblica ha i suoi paletti, che la corruzione ha compro- messo la credibilit­à della politica, è in crisi l’intero rapporto tra cittadino e parlamenta­re. Il legame si è perso. E questo è il risultato anche di leggi elettorali sbagliate, come il Porcellum, che ha imposto a cittadini una lista di “nominati”, di parlamenta­ri quasi estranei, che spesso non avevano nulla a che fare con i territori a cui chiedevano i voti ma che venivano imposti dalle segreterie di partito. Un difetto che ha anche l’Italicum nonostante resti intatto il dilemma su come ricostruir­e un rapporto di fiducia.

Può passare solo dal risparmio dei costi? A giudicare da questa campagna referendar­ia i partiti pensano di sì. Ma il taglio degli stipendi può diventare una rincorsa senza fine se man- ca il senso di utilità della politica. Se il Pd di Renzi non riesce a gestire un tema come l’immigrazio­ne o portare risultati sul fronte del lavoro, non c’è taglio di indennità che tenga. Se il centro-destra non ricostruis­ce una piattaform­a politica per i suoi elettori, ogni risparmio non sarà mai abbastanza. E se la Raggi non riesce a produrre risultati su Roma, uno stipendio – anche se dimezzato - sarà sempre una spesa inutile.

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