Saipem si riorganizza in cinque divisioni e stringe sui costi
Approvato il piano strategico che prevede cinque nuove divisioni e ulter ior i tagli
Un nuovo piano che impone una ulteriore stretta sui costi e sull’efficientamento della macchina (con il taglio di circa 800 dipendenti), e prevede una riorganizzazione profonda, con la creazione di cinque divisioni, per accompagnare e rendere ancora più efficace la rifocalizzazione imboccata dall’ad Stefano Cao. Saipem arriva al giro di boa dei nove mesi con nuove sfide, messe nero su bianco nel piano strategico 2017-2020, in uno scenario di mercato ancora molto debole e con risultati in chiaroscuro che mostrano, da un lato, «segnali incoraggianti», per dirla con le parole del ceo, sul fronte dell’Ebitda (a 997 milioni contro i 224 dei primi nove mesi del 2015) e dell’Ebit (di nuovo in territorio positivo, a 479 milioni dopo il “rosso” di 336 milioni dello scorso anno), nonché del debito che continua a calare (l’asticella, a fine settembre, si attesta, complice anche la generazione di cassa, a 1,67 miliardi, contro i 5,4 di fine 2015) ma risentono, dall’altro, di oltre 2 miliardi di svalutazioni (1,9 dei quali nell’ulti- mo trimestre) che hanno zavorrato l’utile netto reported, a -1,925 milioni (a fronte della perdita di 866 milioni dello stesso periodo 2015), mentre l’utile netto adjusted si attesta a 200 milioni di euro (-562 milioni nei primi nove mesi del 2015).
«La scommessa continua. In questi 18 mesi abbiamo messo in campo molte azioni e altre altrettanto impegnative saranno pianificate. Abbiamo bisogno che il mercato ci aiuti e che ci sia qualche segnale concreto che gli investimenti delle grandi compagnie petrolifere possano finalmente riprendere», spiega al Sole 24 Ore il numero uno Cao. E a confortarlo contribuiscono la conferma della guidance 2016, comunicata in occasione della semestrale, e l’acquisizione di nuovi ordi- ni che marcia a pieni giri (6,62 miliardi nei primi nove mesi dell’anno, di cui 3,3 solo nell’ultimo trimestre) e alla quale si potrebbero aggiungere nuovi traguardi. «Abbiamo una pipeline di un miliardo che vediamo abbastanza vicina alla finalizzazione», prosegue il ceo che, rispetto poi al South Stream e all’arbitrato aperto davanti alla Camera di commercio internazionale di Parigi dopo la richiesta di risarcimento danni presentata al consorzio che fa capo al progetto, si limita a ribadire la posizione. «Il pronunciamento parigino dovrebbe arrivare nel 2018: su quel fronte ci preme recuperare il dovuto a livello contrattuale. Ciò detto, qualsiasi disponibilità della controparte a trovare un accordo di transazione è ben accetto, se poi sarà legato all’emergere di nuovi progetti, anche meglio».
Quanto al riassetto, l’obiettivo è chiaro. «Puntiamo a creare una organizzazione più snella - prosegue l’ad - e più focalizzata sulle esigenze dei clienti. Alle quattro divisioni previste (costruzioni offshore, costruzioni onshore, drilling onshore, drilling offshore, ndr), ne affiancheremo una quinta per valorizzare le competenze della Snamprogetti che ha una storia lunga e piena di successi come società di ingegneria e grandissime capacità nella fase inziale. Noi ne avevamo un po’ fagocitato le competenze, ora le estrapoliamo nuovamente con il fine di mettere a punto soluzioni dedicate ai clienti per le loro elevate competenze tecnologiche e la capacità di generare innovazione, anche nell’ottica di creare opportunità per nuove joint venture e sinergie».
Insomma, la strada è segnata. Cao è consapevole che saranno necessari ulteriori sacrifici («abbiamo preso atto che l’asticella degli 1.7 miliardi di risparmi già pianificata non è sufficiente», precisa), ma è convinto che la società abbia tutte le carte in regola per completare il percorso di risanamento e per raggiungere anche i target previsti per il 2017: ricavi per 10 miliardi, Ebitda a 1 miliardo di euro, utile netto superiore ai 200 milioni e, infine, debito al di sotto degli 1,4 miliardi.
LE NUOVE SFIDE L’ad Stefano Cao: «Abbiamo una pipeline di un miliardo vicina alla finalizzazione. I risparmi per 1,7 miliardi di euro già previsti non sono sufficienti»