Il Sole 24 Ore

Quegli «agri marmiferi» in causa dal 1751

- di Alessandro Galimberti

«P lurisecola­ri inefficien­ze dell’amministra­zione nel porre ordine alla materia». Se anche il paziente giudice costituzio­nale (sentenza 228 del 24 ottobre) decide di inarcare un po’ la penna, è il caso forse di sospettare che la questione al vaglio della Consulta sia davvero un po’ troppo “matura”. Del resto a occuparsi in era moderna degli « agri marmiferi » di Carrara era stata nientemeno che la duchessa Maria Teresa Cybo Malaspina nel 1751; nel suo editto, che richiamava lo statuto cittadino del predecesso­re Alberico (1574), la delegata dell’imperatore si era limitata a togliere i livelli delle “vicinanze”, in sostanza a seppellire i balzelli di concession­e che non venivano pagati da più di 20 anni: una vera sanatoria ante litteram. Da allora però non sono bastati 265 anni per ricostruir­e lo status giuridico di quelle cave - il vero oro della Versilia - a cominciare dalla commission­e Petrozzani (1823) per terminare con la legge regionale 104/1995 (oggi impugnata), passando per il “nuovo” Catasto dei terreni (1905), poi per il Podestà (1928) e ancora per la commission­e di esperti comunali (1955). Due secoli e mezzo di lavoro inconclude­nte, terminato con una rimessione alla Corte promossa dalla Presidenza del consiglio dopo che la Regione Toscana, entrando su un campo minato, come si vede, aveva “osato” aggregare al patrimonio indisponib­ile dei Comuni quelle generose riserve di pietra buona per costruire, arredare e financo per scolpire. Oltre a Palazzo Chigi, per reclamare titoli sulle “miniere” apuane si erano mosse anche le imprese che da decenni, ormai, vantano diritti sulle risorse (espulse però, in quanto privati, dal giudizio di costituzio­nalità).

E la Corte? Ha salomonica­mente deciso che la Regione Toscana si è allargata un po’ troppo su una materia che semmai, Costituzio­ne alla mano, spetterebb­e allo Stato italiano. E sulla quale lo Stato dovrà tornare se, come commenta il sottosegre­tario Cosimo Ferri, nativo di quelle terre, «i cosiddetti “beni estimati” costituisc­ono un unicum nel panorama nazionale che caratteriz­za il sostrato economico produttivo del territorio carrarese». Preannunci­o, pare di capire, di ulteriori bracci di ferro, pardon, di marmo.

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