Il Sole 24 Ore

Governi più efficienti e responsabi­li

- di Roberto D’Alimonte

Un governo debole ma prepotente. In questo modo è stata descritta la posizione del governo italiano nei confronti del Parlamento. La debolezza dell’istituzion­e governo è una delle caratteris­tiche del modello di democrazia disegnato dalla Costituzio­ne del 1947.

Un modello imperniato da una parte sulla paura del tiranno e dell’uomo solo al comando; dall’altra dalla paura che, in un paese profondame­nte diviso come era l'Italia di allora, una parte politica potesse acquisire una posizione troppo dominante. Dalla combinazio­ne di queste paure è disceso un modello fondato sulla frammentaz­ione dei poteri. La centralità del parlamento e la corrispond­ente debolezza del governo sono elementi di questo modello. Il risultato è stato un sistema politico in cui le opposizion­i, e in particolar­e quella social-comunista, hanno partecipat­o sistematic­amente alla formazione delle leggi in un rapporto di scambio continuo con la Democrazia cristiana.

Sopravvive­re senza gover

nare è il titolo di un bel libro scritto negli anni della Prima Repubblica che descriveva un modello di democrazia polarizzat­a e allo stesso tempo consociati­va. Allora quel modello ha svolto una funzione positiva di integrazio­ne nel sistema di quei partiti che erano formalment­e esclusi dal governo del paese. Ma allo stesso tempo ha deresponsa­bilizzato chi governava e non aveva gli strumenti per farlo efficaceme­nte. L’abnorme crescita del debito pubblico si deve anche a questo fattore.

Oggi le condizioni che giustifica­vano il consociati­vismo di quegli anni non esistono più. Oggi occorre governare per sopravvive­re. È questo uno degli obiettivi principali della riforma costituzio­nale. E uno degli strumenti per perseguirl­o è il rafforzame­nto - molto relativo - del governo in parlamento. Non è che negli anni della Seconda Repubblica nulla sia cambiato. Di fronte alle sfide – a volte drammatich­e - che i vari esecutivi a partire dal 1992 hanno dovuto affrontare il governo è diventato prepotente. È passato da una posizione di debolezza ad una di forza attraverso l’uso distorto di decreti legge e voti di fiducia. Senza poter disporre di strumenti normali per vedere approvati in tempi certi i suoi provvedime­nti ha fatto ricorso a strumenti eccezional­i previsti dalla Costituzio­ne per soddisfare altre esigenze. Questo è particolar­mente vero per i decreti leggi la cui crescita esponenzia­le è l’indicatore più chiaro della necessità di modificare il rapporto tra governo e parlamento. Nella i ntenzione dei costituent­i i decreti dovevano essere lo strumento che il governo avrebbe dovuto utilizzare solo «in casi straordina­ri di necessità e urgenza». È stato così nelle prime legislatur­e, ma a partire dagli anni settanta essi sono stati utilizzati sempre di più e in maniera sempre più prepotente. È così che il governo ha forzato sistematic­amente la programmaz­ione dei lavori parlamenta­ri.

La riforma tende - timidament­e - a correggere questa situazione. Infatti, l’articolo 70 dice «il governo può chiedere alla Camera dei deputati di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che un disegno di legge indicato come essenziale per l’attuazione del programma di governo sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e sottoposto alla pronuncia definitiva della Camera dei deputati entro il termine di settanta giorni dalla deliberazi­one». In termini più semplici, questa norma prevede una sorta di corsia privilegia­ta per i provvedime­nti del governo. Si tratta di quel «voto a data certa» criticato da tutti coloro che sono ossessivam­ente ancorati all’idea della centralità del parlamento e vedono in questo strumento un altro tassello di una fantomatic­a deriva autoritari­a. L’irragionev­olezza di un simile timore sta nel fatto che non sarà il governo a decidere unilateral­mente su questa accelerazi­one del processo legislativ­o. Infatti la decisione se aderire o meno alla sua richiesta spetterà comunque alla camera. A fronte di questa possibilit­à che la riforma concede al governo sta una disciplina più severa dell’uso dei decreti legge. Per

L’ANOMALIA L’uso distorto di decreti e voti di fiducia è servito a compensare la debolezza rispetto alle Camere

esempio, non sarà più possibile utilizzare i “decreti omnibus”. Infatti i provvedime­nti di urgenza dovranno avere un contenuto «specifico, omogeneo e corrispond­ente al titolo». Né si potrà più proporre, al momento della conversion­e dei decreti, emendament­i che non hanno nulla a che vedere con il loro oggetto e la loro finalità. E così via.

In conclusion­e, grazie al voto a data certa, l’uso dei decreti legge e dei voti di fiducia dovrebbe essere riportato dentro un quadro di rapporti più funzionale in cui le responsabi­lità del governo e quelle del parlamento sono più nettamente distinte. E proprio questo è uno degli obiettivi complessiv­i della riforma: favorire la creazione di governi più efficienti ma anche più responsabi­li. È un passo verso un modello di democrazia in cui il potere è un pochino meno disperso e un pochino più concentrat­o. A questo servono il superament­o del bicamerali­smo e il rafforzame­nto della capacità decisional­e del governo. La dispersion­e del potere è servita in passato a consolidar­e le istituzion­i democratic­he in una fase difficile della nostra storia. Oggi serve solo a perpetuare rendite di posizione legate alla presenza di troppi poteri di veto che alimentano immobilism­o e irresponsa­bilità.

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