Il Sole 24 Ore

Leggi a «data certa» e meno decreti

Il governo può chiedere una corsia preferenzi­ale per i Ddl necessari ad attuare il programma

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pLa riforma costituzio­nale incide profondame­nte nel rapporto tra Governo e Parlamento così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi. E non solo per la fine del bicamerali­smo paritario. Sono 2, in particolar­e, le novità introdotte dal ddl Boschi che evidenzian­o il nuovo corso: la possibilit­à per il Governo di veder approvati entro una «data certa» provvedime­nti ritenuti essenziali per l’attuazione del suo programma e i limiti imposti alla decretazio­ne d’urgenza. La ratio è quella di offrire contempora­nemente uno strumento legislativ­o per facilitare l’azione dell’esecutivo e allo stesso tempo di ridurre però il ricorso ai decreti legge da parte del governo.

Le novità introdotte dalla riforma sulla decretazio­ne d’urgenza non sono in contrasto con il dettato originario della Carta del ’48, quanto con l’abuso che nel corso dei decenni ne è stato fatto dai governi e dal Parlamento soprattutt­o in fase di conversion­e in legge, che hanno prodotto provvedime­nti incoerenti, disomogene­i e con disposizio­ni che difficilme­nte potevano anche solo lambire il requisito della necessità e urgenza previsto dall’articolo 77. Una violazione che è stata più volte censurata dalla Corte costituzio­nale e alla quale il legislator­e ha tentato di porre rimedio con la legge 400 del 1988, finalizzat­a proprio a limitare l’abuso e l’uso improprio della decretazon­e d’urgenza. Ma queste prescrizio­ni, essendo previste da una legge ordinaria, sono state in molte occasioni disattese. La riforma interviene ora costituzio­nalizzando quei limiti. In particolar­e l’ultimo comma del nuovo articolo 77 stabilisce che «nel corso dell’esame dei disegni di legge di conversion­e dei decreti non possono essere approvate disposizio­ni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto». È stato inoltre confermato anche il divieto (sempre introdotto dalla legge del 1988) di reiterare con decreto diposizion­i già adottate con decreti non convertiti in legge. L’intenzione è dunque quella di limitare la produzione dei decreti da parte dell’esecutivo.

Allo stesso tempo però al governo viene attribuita la possibilit­à di ricorrere, (articolo 72, comma 7) al «procedimen­to legislativ­o a data certa», che consente all’esecutivo di chiedere alla Camera di deliberare, en- tro cinque giorni, che un disegno di legge indicato come «essenziale per l’attuazione del programma di governo» sia iscritto con priorità all’ordine del giorno e quindi sottoposto alla pronuncia in via definitiva della Camera stessa entro 70 giorni dalla deliberazi­one. Anche in questo caso il provvedime­nto, dopo l’approvazio­ne verrà trasmesso al Senato. Ma mentre solitament­e Palazzo Madama ha 10 giorni di tempo per decidere se intervenir­e con proposte di modifica e 30 giorni per formulare gli eventuali emendament­i, nel caso dell’adozione del procedimen­to a data certa questi termini si dimezzano e dunque il Senato dovrà presentare le sue proposte non oltre 15 giorni. In ogni caso, e sempre a garanzia della celerità del procedimen­to, il termine finale per l’approvazio­ne definitiva non potrà es- sere differito per più di quindici giorni, «in relazione ai tempi di esame da parte della Commission­e nonché alla complessit­à del disegno di legge». Questo significa che un provvedime­nto ritenuto decisivo per l’attuazione del programma di governo dovrà essere approvato entro 70 giorni e comunque non oltre gli 85. In sostanza nelle intenzioni dei riformator­i, il procedimen­to a data certa - consentend­o al governo di poter usufruire di una corsia preferenzi­ale per i disegni di legge ritenuti «essenziali» - dovrebbe essere alternativ­o alla decretazio­ne d’urgenza e, quindi, dovrebbe contribuir­e a ridurre ulteriorme­nte il ricorso allo strumento del decreto-legge.

Per il fronte del No, il procedimen­to a data certa rappresent­a invece uno degli elementi che confermano la scelta di esautorare il Parlamento dal suo ruolo, consegnand­o nelle mani del Governo anche l’agenda parlamenta­re. A questa accusa i sostenitor­i del sì replicano ricordando che in ogni caso sarà il Parlamento, a decidere autonomame­nte sul provvedime­nto che potrà essere emendato.

Nel nuovo rapporto tra governo e Parlamento merita certamente una menzione l’introduzio­ne dello statuto delle opposizion­i previsto dall’articolo 64 e finalizzat­o a garantire i diritti delle minoranze. Una previsione che però non ha trovato consensi tra i critici della riforma, in quanto è stato sottolinea­to che a disciplina­re lo statuto sarà la maggioranz­a assoluta della Camera che è di appannaggi­o esclusivo del governo grazie all’Italicum.

LIMITI AI DECRETI Il nuovo articolo 77 stabilisce che, in sede di conversion­e, non possono essere approvate disposizio­ni estranee all’oggetto o alle finalità del decreto

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