Il Sole 24 Ore

L’azionariat­o solido non è più un optional

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Nonostante un azionariat­o che vede uno zoccolo duro ormai ridotto all’osso e una marea di hedge di cui non si conoscono nemmeno le generalità, il sì al pianoJpMor­gan-Medio bancaMorel­li è arrivato. Grazie al contributo determinan­te degli istituzion­ali esteri, pur asciugati rispetto anche solo ad aprile ma ciononosta­nte presenti ieri e dunque - per coerenza - potenzialm­ente intenziona­ti a sottoscriv­ere pro quota. Ma l’apporto decisivo è stato soprattutt­o dei piccoli soci, cioè migliaia di risparmiat­ori (parrebbe 13mila) mobilitati dalla rete e dal proxy advisor nonostante abbiano visto quasi azzerato il loro investimen­to passato e siano condannati alla marginaliz­zazione futura, visto l’aumento iper-diluitivo.

C’è del grottesco, come qualcuno ieri non ha mancato di far notare: il Monte dei Paschi, public company ormai da anni (viste le ben note vicissitud­ini e il conseguent­e fuggi fuggi generale), è stato salvato dai piccoli, vecchi soci. E pure dalla vituperata Fondazione, che ormai ha in tasca una quota inferiore all’1% e suo malgrado si è trovata a dover coordinare le difficili trattative per le staffette in consiglio, coagulando il consenso intorno ad Alessandro Falciai e individuan­do in Massimo Edigi il nuovo consiglier­e (non senza la tradiziona­le dose di polemiche in fatto di scarsa senesità).

Il rischio di una pericolosa impasse è stato fortissimo, e doppiament­e pericoloso vista l’assoluta assenza di alternativ­e procedural­i: senza l’assemblea e il voto di ieri, si sarebbe probabilme­nte andati diretti alla risoluzion­e della banca. Il pericolo corso e scampato ieri a Siena richiama l’importanza di un azionariat­o abbastanza solido da poter mantenere la rotta quando le acque si fanno agitate. Vale per il presente, ma anche per il futuro di Mps. E più in generale per tutte le banche, che sempre più spesso – tra bassa redditivit­à e alto tasso di regolament­azione – sembrano spaventare gli azionisti stabili, e in molti casi sono diventate l’habitat ideale degli speculator­i, o comunque di chi ben poco bada al sottostant­e.

Ma torniamo a Siena. Come è evidente, se andrà in porto la ricapitali­zzazione l’azionariat­o verrà per l’ennesima volta pesantemen­te rimescolat­o. I barlumi che si intravedon­o dal Qatar e la disponibil­ità di Generali a convertire i suoi bond non sembrano escludere la ricomposiz­ione di un nocciolo non solo duro ma anche consistent­e: è una buona notizia. Ma le incognite dell’operazione sono tali e tante che nessun risultato si può escludere; anzi, vista la componente senz’altro rilevante dei bond, con una buona dose di investitor­i posizionat­i da tempo proprio per convertire e rifarsi magari vendendo sul mercato le azioni non appena le riceverann­o in mano, non è difficile prevedere quantomeno il protrarsi della stagione di volatilità. A Siena ormai ci sono abituati, ma per le prove che ancora attendono la banca, come peraltro buona parte dei competitor, è bene che la banca, la politica e i regolatori ricordino che difficilme­nte ci si potrà di nuovo appellare ai piccoli soci.

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