Sulle Borse l’impatto di dollaro e banche
Continua l’effetto Trump sul biglietto verde che ieri è salito ai massimi da 13 anni
pIl dollaro sale sui livelli più alti degli ultimi 13 anni. Non accadeva dal 2003, infatti, che il dollar index - che sintetizza l’andamento della valuta statunitense nei confronti delle altre sei più importanti valute del mondo - toccasse quota 102,3 punti (il top raggiunto ieri a livello intraday).
Il biglietto verde continua a rafforzarsi sulle aspettative che la Federal Reserve non si limiterà ad alzare i tassi solo nella riunione del 14 dicembre (i mercati scontano un rialzo di 25 punti base in area 0,75% al 100%). Ma dato che i rendimenti dei titoli con scadenza a due anni viaggiano attorno all’1,13% (i livello più alto dal 2010) è evidente che il mercato si aspetta che l’azione della Fed proseguirà anche nel corso del 2017.
La vittoria a sorpresa di Donald Trump alle presidenziali Usa del 9 novembre ha messo le ali al dollaro. Non solo perché ci si aspetta una politica monetaria restrittiva, ma anche perché i mercati puntano allo stesso tempo su una politica fiscale espansiva. Un passaggio di consegne tra banca centrale e governo nel rispetto del ruolo di indipendenza della Fed. La politica espansiva sta facendo lievitare le aspettative di inflazione con ulteriori effetti al rialzo su tassi dei titoli di Stato e sul dollaro. Gli analisti parlano apertamente di “Trumpflation”. Resta il fatto che il dollaro sta mostrando segnali di robustezza da altri tempi. Dal 9 novembre si è rafforzato sullo yen giapponese del 7,6%, un livello straordinario se si considera che lo yen continua a vestire i panni di “bancomat mondiale” da parte degli operatori nelle operazioni di carry trade (ci si indebita nella valuta di un Paese dove i tassi sono bassi per investire la liquidità in aree a tassi più alti). Più contenuto, ma altrettanto solido, lo scatto del dollaro nei confronti delle altre principali valute che compongono il dollar index. Con Trump l’euro ha perso il 4% sul dollaro passando da 1,10 dollari a 1,056 (il tentativo di rimbalzo di ieri a 1,06 si ha avuto vita breve). In due settima- ne il super-dollaro ha guadagnato il 2% sullo yuan cinese, l’1,5% sul dollaro canadese e il 3,8% sul franco svizzero. Ancora più eclatante lo scatto nei confronti dei Paesi emergenti, quelli più fragili e meno attrezzati per reggere l'onda d’urto di una politica monetaria restrittiva da parte della Fed. La lira turca è caduta sui minimi (dollaro a +9% con Trump) tanto che ieri la Banca centrale turca ha rialzato i tassi di 50 punti base (dal 7,5% all’8%), il primo aumento da gennaio 2014, nel tentativo di contrastare il drammatico crollo del valore della divisa locale. Al momento la valuta che ha sofferto di più resta il peso messicano (-13% dopo Trump e -20% da inizio anno) a causa dell’ipotesi della costruzione di un muro tra Usa e Messico che frenerebbe inevitabilmente le esportazioni.
Per il resto la giornata finanziaria di ieri sarà ricordata per il nuovo massimo storico del titolo Ferrari e per la rinnovata debolezza delle banche italiane (indice di settore a -0,6%) in una seduta poco mossa per i listini europei, complice la chiusura di Wall Street per il Thanksgiving day.
Sul mercato dei titoli di Stato, il BTp decennale ha terminato la giornata con un rendimento del 2,13% (top da estate 2015). Spread con il Bund tedesco a 187 punti (top da primavera 2014). Al referendum costituzionale (il cui esito incerto sta facendo ballare le banche italiane in Borsa e i BTp) mancano nove giorni di calendario e sei sedute di contrattazioni. Dopodiché il quadro, nel bene o nel male, sarà più chiaro.
TRUMPFLATION I mercati scommettono sulla politica fiscale espansiva del nuovo presidente che fa anche lievitare le aspettative per un rialzo dell’inflazione