Rischio politico? Pesa per le troppe fragilità che gravano sulla Ue
Che l’Europa si prepari a una incerta tornata elettorale (tra il referendum italiano e il voto in Francia, Olanda e Germania), è un dato di fatto. Non è la prima volta, non sarà l’ultima. La democrazia funziona così: ogni tanto i cittadini sono chiamati a votare. Questa volta, però, c’è una preoccupazione in più rispetto agli ultimi anni: per la prima volta da molto tempo, la politica è tornata ad essere una variabile determinante sui mercati finanziari. Una fonte di paura. Di incertezza. Di instabilità. Di volatilità. Ieri l’ha certificato anche la stessa Bce nel suo rapporto sulla stabilità finanziaria. Se un anno senza Governo in Spagna ha creato solo minima apprensione sulle Borse, se due mesi di seria impasse in Italia (tra il voto e il Governo Letta) non crearono nel 2013 eccezionali turbolenze, bisogna domandarsi perché questa volta è diverso. Insomma: perché questa volta la politica rischia di essere il vero «market mover», tanto da entrare nei report della Bce e di tutte le banche d’affari?
La risposta che solitamente viene offerta è la più scontata: perché i partiti anti-sistema questa volta sono davvero forti nei sondaggi. Non esiste report di banche d’affari che non mostri qualche grafico sui sondaggi. E dato che ai mercati piace più la certezza dell’ignoto, si preoccupano. Poi è anche vero che le banche centrali, fino ad oggi grandi “stampelle” dei mercati, saranno in prospettiva meno interventiste. Ma probabilmente questi motivi non spiegano per intero la paura dei mercati: la realtà è che l’Europa (e specialmente l’Italia) si trova ad affrontare questa incerta tornata elettorale con troppe vulnerabilità irrisolte. È la stessa Bce, nel suo rapporto sulla stabilità, a notare che dopo il referendum su Brexit la volatilità ha colpito soprattutto il settore degli immobili commerciali in Gran Bretagna e le banche in Europa. Soprattutto - potremmo aggiungere - in Italia e in Germania. Guarda caso si tratta di due settori che hanno criticità davvero evidenti: se la Borsa si accanisce su di loro, dunque, non è tanto per il voto ma perché questi sono settori con fragilità irrisolte.
Prima di preoccuparsi per l’esito delle votazioni, bisognerebbe dunque preoccuparsi per i problemi irrisolti in Europa. Le banche per esempio, da cui dipendono le fortune (o le sfortune) di un sistema imprenditoriale ancora troppo banco-centrico. È la stessa Bce a indicare che servirebbe una soluzione europea per i crediti in sofferenza. C’è poi il tema delle politiche fiscali: Trump negli Usa è piaciuto al mercato (a testimonianza che l’antisistema non per forza crea panico in Borsa) perché parla di politiche fiscali espansive. Senza giudicare la fattibilità del piano di Trump, la direzione è certamente quella che anche l’Europa deve intraprendere: qualche timido segnale positivo c’è, ma troppo timido. E poi c’è l’annoso problema della credibilità stessa del progetto europeo, che ogni volta viene messo in discussione dai mercati. Se l’Europa non cambia passo, se i Governi non cambiano passo, è normale che i mercati siano sempre più instabili.