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Nei primi otto mesi del 2016 calo medio del 7,5%, a fronte di un -20% dei consumi globali
a Essere considerati un bene rifugio è un bene o un male? Entrambe le cose, scrive in un recente report Luca Solca di Exane Bnp Paribas, parlando di alta orologeria. Ma il ragionamento potrebbe valere anche per i gioielli. Da una parte si pensa di fare un buon investimento, acquistandoli: al contrario di abiti, borse, scarpe e cibi o vini di lusso, i gioielli non si consumano né dovrebbero perdere valore con il passare degli anni, anzi. D’altra parte, proprio perché resistono bene al tempo, non c’è urgenza di cambiarli ogni stagione, come avviene invece per altre categorie di prodotti, spinti da tendenze e mode.
Si può spiegare anche così il rallentamento dell’export italiano di gioielleria nei primi otto mesi dell’anno che emerge dalle elaborazioni di Stefania Trenti della direzione Studi&Ricerche di Intesa Sanpaolo. Il calo è stato del 7,5% (pari a quasi 320 milioni ), con risultati leggermente meno negativi per la componente dei gioielli in metalli preziosi (-6,5%).
Il trend non è solo italiano e anzi il nostro Paese ha contenuto le perdite rispetto al dato globale. «Secondo le analisi del World Gold Council, nei primi nove mesi del 2016 la domanda mondiale di gioielli in oro in quantità è crollata a ritmi superiori al 20% – spiega Stefania Trenti –. Le cause sono tante, a partire dal clima di incertezza globale che ha contribuito alla crescita dei prezzi dell'oro e alla minore propensione agli acquisti di gioielli. Ci sono poi fattori specifici, come i cambiamenti della regolamentazione in India, la stretta sui consumi di lusso e il cambiamento dei gusti in Cina e le tensioni militari in Medio Oriente».
Tornando all’Italia, il calo dell’export (si veda la tabella) ha riguardato tutti i principali mercati ad eccezione di Stati Uniti (+3,7% pari a quasi 14 milioni), il Regno Unito (+12,4%, pari a quasi 15 milioni) e la Giordania (+11,2%). «Significativo il dato sugli Emi- rati Arabi Uniti, Paese di “entrata” per l’India e il resto del Medio Oriente – sottolinea l’economista –. La perdita tra gennaio e agosto è stata del 17,5% pari a 122 milioni. Molto male poi le esportazioni verso Svizzera e Francia (-9,9% e -17%), Paesi dove sono spesso spediti i gioielli made in Italy commissionati da grandi maison di moda, che poi possono essere dirottati verso altri Paesi».
Volendo vedere il bicchiere mezzo pieno, conviene soffermarsi proprio sulla produzione italiana, che negli anni si è spostata verso l’alto di gamma, forte di una tradizione millenaria e di un know how artigianale quasi altrettanto antico. Come dimostra il successo del Museo del gioiello di Vicenza, aperto nel dicembre 2014: oltre 400 metri nella Basilica Palladiana, frutto della collaborazione tra Fiera di Vicenza e il Comune della città veneta. In meno di due anni il Museo, primo nel suo genere in Italia, ha avuto circa 34mila visitatori e ha riportato l’attenzione sul legame tra passato, presente e futuro della gioielleria italiana. E proprio ieri si è aperta al Museo Poldi Pezzoli di Milano la mostra “Il gioiello italiano del XX secolo”, che fino al 20 marzo 2017 ospiterà 150 pezzi creati tra l’inizio del 1900 e gli anni 90 da Buccellati, Bulgari, Chantecler, Damiani, Pomellato e molte altre maison e da designer di gioielli o da artisti prestati alla gioielleria, come Arnaldo e Giò Pomodoro.
La mostra è tra l’altro una delle tappe di “Jewels of Milan: Italian Style”, un viaggio per collezionisti americani organizzato da Amanda Triossi per Adventures in Art. Da martedì 29 a sabato 3 dicembre il gruppo visiterà atelier di gioielleria per scoprire il dietro le quinte del know how orafo della città.
Tornando ai dati, Stefania Trenti sottolinea le differenze tra distretti: «A livello territoriale le informazioni sono ferme al primo semestre. Valenza, Arezzo e Vicenza sono tra i distretti a registrare il calo delle esportazioni più elevato del secondo trimestre». Come per l’industria italiana nel suo complesso, in controtendenza ci sono Gran Bretagna, Stati Uniti e la Giordania, che è però un mercato minore. «Un andamento che conferma quello del 2015 – conclude l’analista di Intesa Sanpaolo –. Per l’intero anno e per il 2017 è difficile fare previsioni, troppe le incognite economiche e geopolitiche».
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