Il Sole 24 Ore

«Dietro il voto a data certa c’è un piccolo golpe bianco»

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pDietro il voto a data certa previsto dalle riforme costituzio­nali per i disegni di legge essenziali per l’attuazione del programma «c’è una sorta di piccolo golpe bianco»: «Si modifica la forma di governo di un Paese senza dirlo esplicitam­ente all’interno della Costituzio­ne, perché non saremmo più in una repubblica parlamenta­re ma in una sorta di ultrapresi­denzialism­o dove il capo del governo decide anche per il Parlamento». È durissimo il deputato M5S Danilo Toninelli, componente della commission­e Affari costituzio­nali di Montecitor­io, quello tra i pentastell­ati che ha seguito più da vicino il lavoro sulla legge Boschi e sull’Italicum.

Il nuovo articolo 72 della Costituzio­ne prevede che il governo possa chiedere alla Camera di deliberare, entro cinque giorni dalla richiesta, che l’esame di un ddl essenziale per il programma sia concluso entro i successivi 70 giorni. Per i fautori del sì è una grande opportunit­à per snellire il lavoro parlamenta­re. Per voi?

Per noi significa permettere al governo di costituzio­nalizzare il ricorso abusivo alla decretazio­ne d’urgenza. Hanno previsto che il governo, senza più i requisiti di straordina­ria necessità e di urgenza che in teoria sarebbero previsti oggi per i decreti legge, potrà fare qualsiasi cosa. Significa che l’esecutivo si mangia la funzione legislativ­a garantita al Parlamento. È una cosa grave, una sorta di golpe bianco.

Al tempo stesso però, nella riformulaz­ione dell’articolo 77 sulla decretazio­ne d’urgenza si depotenzia il ricorso abusivo al decreto legge, a cui da anni sia- mo abituati, perché si circoscriv­ono i casi in cui si può ricorrervi. Non c’è un bilanciame­nto?

Ma è ovvio: nel momento in cui si costituzio­nalizza una procedura abusiva inserendo in Costituzio­ne il provvedime­nto con voto a data certa senza i requisiti di necessità e di urgenza, è normale che il decreto legge non serva più e possa essere depotenzia­to. La cosa grave è che lo hanno sostituito con un provvedime­nto diverso. Noi vogliamo una democrazia in cui sono i rappresent­anti del popolo, cioè gli eletti, a dover incidere nella produzione e nell’approvazio­ne delle leggi, e non il governo. Perché la storia ci ha insegnato che quando sono pochi a decidere decidono sempre per loro stessi.

Questo passaggio non è mitigato in fondo dal fatto che il nuovo Senato mantiene alcune funzioni importanti anche nel procedimen­to legislativ­o potendo chiedere di esaminare ogni provvedime­nto?

Già questo fa capire che c’è uno stato totale di complicazi­one nella procedura di formazione delle leggi, perché l’incidenza del Senato potrebbe essere nulla se la maggioranz­a sarà uguale a quella della Camera o potrebbe trasformar­si in un ostacolo fino a portare al blocco istituzion­ale del Paese se la maggioranz­a fosse diversa. Ricordiamo che la composizio­ne del Senato, con i cento nuovi senatori, cambia costanteme­nte con le elezioni dei nuovi consigli regionali, quindi la differenza di maggioranz­e è probabile. Siamo su un piano di complessiv­a instabilit­à istituzion­ale.

Ma a vostro avviso l’Italia non ha la necessità di snellire e accelerare l’iter legislativ­o?

L’esigenza dell’Italia è quella di fare leggi buone, condivise con i cittadini, che rispondano ai loro bisogni, che durino vent’anni e che siano facilmente comprensib­ili. Il cancro dell’Italia è che ci sono tra le 150mila e le 300mila leggi, fatte apposta per dare voce ai poteri degli intermedia­ri, che possono essere i burocrati di Stato, i notai, i commercial­isti, gli altri uffici di intermedia­zione. La riforma propone strumenti per fare le leggi più velocement­e, sempre che le maggioranz­e tra le Camere coincidano, in uno Stato che ha il problema di un iperproduz­ione legislativ­a. Noi diciamo che le leggi vanno scritte bene, a vantaggio dei cittadini, e che devono essere comprensib­ili. Scriverle più velocement­e vuol dire alimentare il caos: ancora meno imprese apriranno e investiran­no in Italia e i cittadini avranno bisogno ancora di intermedia­ri perché sarà impossibil­e capire anche come si fa a pagare le tasse.

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Danilo Toninelli

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