Il Sole 24 Ore

Nei conflitti di Donald spunta il caso Deutsche

- M. P.

Nel suo ritiro di Mar-O-Lago a Palm Beach il Thanksgivi­ng di Donald Trump è affollato di pensieri: nomine, scelte politiche, la sua base che si ribella per alcune sue nomine troppo centriste. Ma su un punto Trump sa che non si dovrà preoccupar­e, almeno per ora: il conflitto di interessi. Il Presidente eletto è talmente sicuro di sè da aver addirittur­a ammesso ai giornalist­i del New York Times, basiti e increduli, che «potrei fare il capo della mia azienda e il Presidente allo stesso tempo...non ci sono problemi» poi ha aggiunto «si è vero l’interesse e il valore delle mie proprietà è già aumentato dopo la mia vittoria alla Casa Bianca, mi sembra normale...».

Il fatto che Trump sia talmente candido per i “dogwatch” è disarmante. Ricordate Berlusconi e gli attacchi della sinistra? E le reazioni convulse di media stranieri Economist in testa? Un tempo anche da noi davanti a certe accuse di rischio di conflitto di interesse si paralizzav­a tutto. Al punto che il conflitto non bastava più si è arrivati all’idea di “percezione” di conflitto, sufficente per chiedere dimissioni. Come spesso succede un’idea sacrosanta è stata portata all’estremo. E Trump l’irriverent­e ha risposto a tono: «Se dovessi sentire gli ultra zelanti del conflitto di interesse, non dovrei neppure vedere la mia adorata figlia Ivanka...».

Tutto questo per dire che un recente sussulto su un possibile conflitto di interesse che riguarda i rapporti fra Deutsche Bank e Trump secondo me non finirà in nulla. La storia è vecchia. Trump a un certo punto non aveva più molto credito fra le grandi banche americane, era sempre più “outsider” e come spesso succede gli outsider si fanno forza l’uno con l’altro. Allora, e parliamo degli anni Novanta, la Deutsche Bank voleva affermasi in America, faticava contro i colossi locali e trovò il Donald pronto a fare business con lei. Complessiv­amente ci furono prestiti per poco più di 300 milioni, 120 milioni circa per ristruttur­are un palazzo a Wall Street. Il rapporto resta tutt’ora molto solido e per questo ha destato sospet- ti. Maxine Waters deputata california­na e Caroline Maloney deputata di New York, entrambe democratic­he, hanno scritto a varie agenzie federali segnalando il conflitto: come potremo essere certi che il dipartimen­to per la Giustizia negozierà una multa adeguata con la banca tedesca se Trump, suo cliente è Presidente? Come sappiamo dalle cronache finanziari­e, la Deutsche Bank è in difficoltà in genere, ma in particolar­e ha un problema con il dipartimen­to per la Giustizia americano: è stata multata per ben 14 miliardi di dollari per violazioni di certe regole nel settore mutui immobiliar­i ai tempi del pre-crisi 2007-2009. Cosa non

IL PRESTITO Complessiv­amente ci furono prestiti per circa 300 milioni di dollari, 120 dei quali per ristruttur­are un palazzo a Wall Street

diversa da altre banche Usa, tutte hanno patteggiat­o cifre minori rispetto a quanto richiesto dal dipartimen­to per la Giustizia, ma pur sempre per alcuni miliardi di dollari. Cosa succederà ora che arriva l’amministra­zione Trump e la pratica Deutsche è ancora aperta? Molto poco credo. Intanto alla guida del dipartimen­to per la Giustizia ci sarà il senatore Jeff Session consdierat­o tutto d’un pezzo. Al dipartimen­to ci sono funzionari e procurator­i che si muovono in modo autonomo, lo stesso Session garantirà autonomia ai negoziator­i e ci sarà una intercaped­ine forte fra amministra­zione, anzi fra Casa Bianca e dipartimen­to. Provare il contrario sarà molto difficile. Eppoi si darà davvero importanza a una questione così indiretta quando il Presidente già sfida gli zelanti della percezione del conflitto di interesse dicendo che lui continuerà a farsi gli affari suoi? Il paradigma è già cambiato, per la stessa idea di “percezione”.

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