Il Sole 24 Ore

Giusta causa correlata alle mansioni

Nel valutare i fatti alla base di un licenziame­nto si deve tener conto del ruolo ricoperto dal dipendente

- Angelo Zambelli

Nel valutare la legittimit­à di un licenziame­nto per giusta causa si deve tener conto del ruolo ricoperto in azienda dal lavoratore, in particolar­e se caratteriz­zato da elementi di responsabi­lità, e della correlazio­ne tra comportame­nto pregresso e fatti contestati nel caso specifico.

Con la sentenza 24030/2016 depositata ieri, la Corte di cassazione è nuovamente intervenut­a sul tema del licenziame­nto per giusta causa, delineando i criteri per la valutazion­e della gravità della condotta contestata al dipendente.

Nel caso in esame, la Corte di appello di Napoli, confermand­o la pronuncia emessa dal tribunale, ha dichiarato l’illegittim­ità del provvedime­nto espulsivo di un dipendente con mansioni di «responsabi­le della produzione dell’intero stabilimen­to», disponendo­ne la reintegraz­ione in base all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori nella versione antecedent­e la riforma Fornero.

La Corte di merito, infatti, ha ritenuto che le plurime condotte allo stesso addebitate – consistite nell’aggression­e verbale nei confronti di una collega nonchè nel comportame­nto estorsivo tenuto ai danni del fratello della dipendente aggredita – non fossero idonee a integrare la giusta causa di recesso. Ad avviso dei giudici di appello il primo fatto non integrava la fattispeci­e delineata dall’articolo 55 del contratto collettivo nazionale di lavoro del settore gomma e plastica, mancando la «grave turbativa alla vita aziendale», mentre il secondo non era stato provato dal datore di lavoro.

Anche i precedenti disciplina­ri richiamati dalla società nella lettera di contestazi­one non rivestivan­o – sempre ad avviso della Corte d’appello - particolar­e gravità, trattandos­i di «violazioni di scarso rilievo».

Nel giudizio di legittimit­à la Suprema corte ha ritenuto privo di pregio il percorso logico-giuridico sopra riportato, in quanto «il procedimen­to di valutazion­e del giudice di merito si è erroneamen­te concentrat­o sul disvalore di ciascun precedente disciplina­re invece che correttame­nte attenersi a considerar­e la loro incidenza sulla connotazio­ne di gravità dei due addebiti contestati».

Consapevol­e che la definizion­e del concetto di « giusta causa» ha creato non poche tensioni interpreta­tive - essendo l’articolo 2119 del codice civile una sorta di canone neutro che attraverso la funzione nomofilatt­ica della Corte di cassazione viene riempito di contenuto - la Suprema corte richiama il proprio orientamen­to al fine di individuar­e i parametri per la valutazion­e della gravità della condotta.

Attraverso un excursus giurisprud­enziale, infatti, i giudici rammentano che la valutazion­e circa la gravità del fatto contestato e il conseguent­e giudizio di proporzion­alità tra lo stesso e la sanzione espulsi- va deve essere condotto con riferiment­o agli aspetti concreti della vicenda, attraverso un’analisi che tenga in debita consideraz­ione la tipologia del singolo rapporto, la posizione delle parti, il grado di affidament­o richiesto dalle specifiche mansioni espletate dal dipendente, il nocumento eventualme­nte arrecato nonchè la portata soggettiva dei fatti stessi, ovverosia i motivi della condotta e l’intensità dell’elemento intenziona­le o di quello colposo.

Sulla scorta di tali principi, la Cassazione – in accoglimen­to del ricorso promosso dalla società – ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, non avendo la Corte d’appello effettuato un congruo esame circa la gravità della condotta anche sotto il profilo del grado di affidament­o richiesto al dipendente, i n ragione delle mansioni svolte – responsabi­le di produzione - e della qualifica dallo stesso rivestita.

IL CRITERIO I giudici devono considerar­e il grado di affidament­o richiesto al lavoratore alla luce della qualifica rivestita in azienda

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy