DISCONTINUITÀ DI METODO E CONTENUTI
Quello firmato ieri tra Federmeccanica e i tre sindacati è un accordo di grande rilievo sia per i suoi contenuti concreti sia per la sua valenza emblematica. Poiché, da un lato, assicura più spazio alla contrattazione aziendale di secondo livello, non cancellando per altro il primo; e, dall’altro, può segnare una svolta nelle relazioni industriali.
Del resto, quest’accordo è il corollario di tre successivi “tasselli” che hanno creato negli ultimi mesi un terreno favorevole a un dia- logo costruttivo fra imprese e sindacati per un rilancio competitivo dell’industria.
Storicamente, l’idea di un “patto dei produttori” si è delineata in altri momenti cruciali di emergenza del nostro Paese. Basterebbe citare la prospettiva di una convergenza fra grandi imprese e sindacati operai affacciatasi fra gli anni 1974-75 e assecondata dalla Confindustria di Gianni Agnelli e dalla Cgil di Luciano Lama.
Ol’intesa raggiunta nel luglio 1993, durante l’affannosa rincorsa dell’Italia per fare ingresso nell’euro, tra Confindustria e sindacati per allineare la dinamica dei prezzi e dei salari entro i parametri di un “tetto” programmato d’inflazione stabilito dal Governo.
Adesso, in un’altra congiuntura economica impervia si è giunti a compiere fra le parti sociali una serie di passi significativi. Il primo dei quali è stato l’accordo del 14 luglio sulla contrattazione aziendale per le piccole imprese prive di rappresentanza sindacale. E ciò in funzione di un processo di sviluppo sul piano delle innovazioni di processo e di prodotto, unitamente a quello di una crescita delle dimensioni finanziarie e operative.
Un successivo “tassello” è consistito nella proposta di Confindustria al Governo, in vista della scadenza della mobilità entro il 31dicembre, di stabilire soluzioni appropriate ed efficaci, in tema di ammortizzatori sociali, di concerto con i sindacati, per gestire esuberi di personale, in modo di riqualificarlo e renderne possibile la ricollocazione.
Nel contempo va valutata positivamente l’intesa raggiunta dalla nostra Confindustria con quella tedesca per impegnare i rispettivi governi a farsi portatori alla Ue di un progetto di rilancio della manifattura ai fini di arrivare a una crescita con aumento dell’ occupazione.
Nell’ambito di questa strategia economica e coerentemente a una logica imprenditoriale innovativa, si inserisce il “patto fra gli attori di fabbrica”, lanciato a fine ottobre dal presidente di Confindustria Vincenzo Boccia, e che verrà discusso con i sindacati il 7 dicembre.
Si tratta di coinvolgere tutte le componenti a vario titolo dell’impresa, al fine di farne un laboratorio di competenze e innovazioni in sintonia con la quarta rivoluzione tecnologica e la produzione di Industria 4.0.
La digitalizzazione della manifattura può infatti da un lato generare una ripresa degli investimenti e quindi una maggiore produttività e, dall’altro, contribuire attraverso l’acquisizione di high skill da parte di una quota crescente di lavoratori a creare alcune precondizioni di base per contrastare la diffusione di ulteriori diseguaglianze sociali.
A ogni modo, è intanto un dato da riscontrare come anche la Cgil abbia percepito segnali tangibili di discontinuità rispetto al passato da parte della Confindustria di Vincenzo Boccia. Del resto, questa sua attitudine a un confronto aperto con il principale sindacato operaio si era già delineata, anche per le sue matrici culturali ed esperienze aziendali, durante la sua presidenza della Piccola Industria.