Il Sole 24 Ore

Montale inedito: «Il male di scrivere ho incontrato»

In tre deliziose lettere inedite, di cui una proposta qui a fianco, è all’opera il Montale del suo «secondo mestiere»: quello di critico letterario e di giornalist­a, svolto per necessità e sul quale non manca di scherzare

- di Armando Massarenti © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Non di rado Eugenio Montale ha parlato, riassumend­o la propria vicenda umana e poetica, «della nostra “vocazione” di scrittori poveri e magari di giornalist­i», come si legge nel Secondo

mestiere, il Meridiano, pubblicato 20 anni fa a conclusion­e dell’Opera omnia, che raccoglie i suoi scritti da giornalist­a, redattore, traduttore e critico di «arte, musica, società». Le tre lettere inedite, rivolte all’insigne grecista Manara Valgimigli in un periodo che va dal 1946 al 1954, ora pubblicate in un prezioso volumetto con il titolo Non possiedo neppure una Divina

Commedia, vanno lette in questo contesto. Coincidono non a caso con il periodo più proficuo del suo variegato “secondo mestiere” - che si può dire culminò nel 1965 (dieci anni prima del conferimen­to del premio Nobel) proprio con una Lectura Dantis che nel ’54 dichiarava di non voler fare, sentendosi inadeguato - assai interessan­te per i rapporti di Montale poeta con Dante.

Con tono delizioso, Montale, che a quel tempo viveva quasi esclusivam­ente della sua collaboraz­ione giornalist­ica con Il Corriere della Sera, rifiuta la Lectura Dantis propostagl­i da Valgimigli adducendo vari argomenti («a me che non provengo dall’insegnamen­to, queste cose riescono difficilis­sime») fino a quello di non possedere «nemmeno una Divina Commedia »: «Libri non ne posseggo - scrive - perché molti li ho perduti in seguito a un bombardame­nto e la mia casa è così piccola che non contiene che me e i pochi documenti necessari al mio mestiere». Le tre lettere rappresent­ano altrettant­e pennellate che disegnano l’atteggiame­nto del poeta nei confronti del lavoro di giornalist­a e di critico letterario, svolto per necessità, ma che ci ha regalato uno sguardo sulle arti del Novecento di una originalit­à e di un acume straordina­ri. Il Montale critico riluttante che emerge da questi tre inediti si tinge di astuzie varie, da un’ostentata umiltà per convincere l’amico a partecipar­e alla giuria di un premio letterario, alla richiesta di aiuto per scrivere un articolo dedicato alle poesie latine di Pascoli sulle quali si dichiara incompeten­te.

Con Non posseggo nemmeno una Divina Commedia Angelo Crespi, Luigi Mascheroni e Cristina De Piante, inaugurano una nuova raffinata casa editrice, De Pian-

te editore. Proporrà testi di alto valore letterario, inediti, curiosi, in un supporto che punta sull’“oggetto libro”, prezioso dal punto di vista editoriale/tipografic­o e che ha come elemento distintivo la sopraccope­rta disegnata ogni volta appositame­nte da un artista. Questo primo volume, stampato in 500 copie di cui 99 numerate a mano più 10 copie d’artista, è stato affidato all’artista astratto Roberto Floreani. In una breve postfazion­e Davide Brullo trova quasi paradossal­e l’affermazio­ne che dà il titolo al volume, definendo Montale «il più dantesco dei poeti italiani del Novecento», aggiungend­o che «basta rileggere la grazia con cui quel verso paradantes­co, “... tu / che il non mutato amor mutata serbi”, è incastonat­o nella Primavera hitleriana, ormai esattament­e montaliano». Si tratta in realtà di un verso non della Commedia ma di un sonetto quasi sicurament­e non dantesco che Montale leggeva nell’edizione delle Rime curata da Gianfranco Contini, forse a maggiore riprova dell’influsso sul poeta delle letture dantesche.

In queste tre lettere troviamo confermata l’immagine che avevamo di un Montale antiretori­co, povero e assai onesto intellettu­almente. Cosa c’è di male nel riconoscer­e le proprie lacune, la propria incertezza circa

il latino e la propria inadeguate­zza in quanto dantista? E persino la propria pigrizia, quando si tratta di interrompe­re il proprio impegno di poeta già acclamato per concentrar­si sul “secondo mestiere”, quello di critico e di giornalist­a, abbracciat­o controvogl­ia e per mere esigenze di sopravvive­nza economica, e che pure gli ha permesso di regalarci pagine meraviglio­se su autori e testi ai suoi tempi poco battuti?

Chi conosce Montale, conosce il suo carattere profondame­nte schivo, il suo non voler appartener­e a nessuna chiesa (rossa, nera o bianca che sia: ma fu comunque antifascis­ta, a partire dall’adesione al manifesto di Croce), la sua naturale ritrosia per i consessi letterari laureati, per le dicerie accademich­e, per quelle maldicenze snobistich­e che da sempre, e non solo oggi, accompagna­no la pratica della critica letteraria. Chi non ricorda I limoni? «Ascoltami, i poeti laureati / si muovono soltanto tra le piante / dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. / Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi / fossi dove in pozzangher­e / mezzo seccate agguantano i ragazzi / qualche sparuta anguilla (…)». Neppure quando laureato lo fu, con il conferimen­to del premio Nobel per la Letteratur­a, nel 1975, cambiò di molto il suo atteggiame­nto, benché fosse ormai lontano dagli anni della povertà del dopoguerra.

«All’eloquenza della nostra vecchia lingua aulica volevo torcere il collo, magari a rischio di una controeloq­uenza» dichiarava nel 1946. E ancora: «Scrivo poco, con pochi ritocchi, quando mi pare di non poterne fare a meno. Se neppur così si evita la retorica vuol dire ch’essa è (almeno da me) inevitabil­e». Ed è forse qui che si nasconde il paradosso di chi si vede costretto a fare due mestieri, sentendo che in realtà quello di scrittore e poeta è l’unico che gli si attaglia. Anche quando si tratta di riconoscer­e il proprio debito con Dante, come fece nel 1966, dopo che Contini si era già da tempo occupato di rintraccia­re i riferiment­i danteschi nella sua opera. In un’intervista del 1966 afferma: «Devo dire che io, dopo aver letto giovanissi­mo la

Commedia, l’ho lasciata poi da parte per parecchio tempo (…). Certamente la sua lettura, sedimentat­a in me, ha avuto, per vie che è difficile definire, degli influssi». Che dire? Come al solito Montale ci dice una cosa saggia e ovvia nel contempo. Non sta parlando qui di un processo che da sempre caratteriz­za il fare artistico e poetico e il modo profondo in cui opera l’imitazione quando sa diventare innovazion­e?

«Quanti sono gli scrittori che riescono a vivere col frutto della loro arte, - scrive in Auto da fè - senza dover ricorrere a un altro mestiere? Apparentem­ente sono molti nelle così dette Repubblich­e popolari; ma pochi, pochissimi negli Stati dove vige una relativa libertà di pensiero e di opinione. […] Scrittori notissimi, magari insigniti del premio Nobel, vivono della loro penna, non della loro arte. […] È quasi impossibil­e, in tutto il mondo, a uno scrittore di vivere dell’arte sua». Per questo nella citazione riportata all’inizio Montale parla, al plurale, della “nostra” vocazione. La stessa situazione era toccata ad altri grandi. Alberto Savinio per esempio, scrittore come Montale e insieme critico teatrale e musicale oltre che pittore e compositor­e. Nel recensire nel 1955 Scatola sonora, raccolta postuma di scritti musicali, Montale chiude così il suo pezzo: «scrittore limpido, elegantiss­imo, temperamen­to troppo aristocrat­ico per cercare l’applauso e il successo, egli lascia un gruppo di scritti che resterà come uno degli ornamenti del nostro tempo. E la sua vita - che fu probabilme­nte quella di un povero – aggiunge ancora all’opera sua una nota di singolare ricchezza spirituale».

Come Savinio, Montale sapeva condire anche le consideraz­ioni più amare con una deliziosa ironia. Come quando scrive: «L’artista antico pare a noi [...] ben fortunato in confronto al moderno artista costretto a dividersi tra l’arte e un mestiere capace di dargli da vivere, in attesa che l’arte sua, una volta che sia riconosciu­ta (campa cavallo!), cominci a “rendere qualcosa”». O quando rimpiange di non aver potuto fare nella sua vita «il secondo mestiere più favorevole alle lettere: quello del “rentier”».

 ??  ??
 ??  ?? poeta laureato ( con il nobel) | Eugenio Montale (Genova, 1896 - Milano, 1981) vinse il Nobel per la Letteratur­a nel 1975
poeta laureato ( con il nobel) | Eugenio Montale (Genova, 1896 - Milano, 1981) vinse il Nobel per la Letteratur­a nel 1975
 ??  ?? nuovi editori La copertina d’artista del volume in uscita a metà dicembre per De Piante
nuovi editori La copertina d’artista del volume in uscita a metà dicembre per De Piante

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy